La prima povertà è non conoscere Cristo

Di Rodolfo Casadei
30 Agosto 2000
Non è la rapina che ha fatto ricco l'Occidente e povero il Sud del mondo, ma l’impeto avventuroso e razionale del Vangelo. Per aiutare il Terzo mondo van bene le campagne per la cancellazione del debito e gli aiuti internazionali, ma non serviranno granché se non si punta - come in Corea- sull'educazione e il cambiamento delle mentalità. Il contributo più grande che può dare l'Occidente è la condivisione del bisogno per amore di Cristo. Mentre troppo spesso negli ambienti ecclesiali si fa un cristianesimo complessato dal retaggio exneopostcomunista e molto ideologicamente chiacchierone sui poveri. Un noto giornalista e missionario del Pime non esita ad accarezzare contro pelo il mondo delle missioni, dell’ecumenismo e del volontariato cristiano Conversazione di Rodolfo Casadei con Piero Gheddo

Dolce, testardo, controcorrente. Padre Piero Gheddo, 73 anni portati benissimo e un ufficio senza aria condizionata al secondo piano del Centro PIME di Milano, è rimasto lo stesso degli anni del Vietnam, quando, giornalista missionario al fronte, scriveva documentatissimi articoli che contraddicevano quelli degli inviati democratici e teneva fischiatissime conferenze dove denunciava l’inganno dei vietcong. Parli con lui di povertà, evangelizzazione, Terzo mondo, sviluppo e assisti a una strage di luoghi comuni. Non per vezzo, non per spirito di bastian contrario, ma in omaggio alle lezioni dell’esperienza e alla profondità del dono di fede ricevuto.

Padre Gheddo, nella prima metà di luglio abbiamo registrato una sequela di notizie angoscianti: 136 baraccati a Manila morti soffocati sotto i rifiuti, altri 50 uccisi da una frana a Bombay, 300 bruciati vivi in Nigeria in due distinti incidenti mentre rubavano il petrolio da un oleodotto, poi la conferenza internazionale sull’Aids che ha mostrato che il continente più povero -l’Africa- è anche quello in cui l’Aids colpisce di più. Insomma, siamo nel 2000, la genetica e le biotecnologie fanno miracoli, ma la domanda ritorna di fronte a queste provocazioni: cosa possiamo fare per i poveri?
Io credo che la miglior risposta, l’azione più radicale e globale che noi cristiani possiamo fare per i poveri è di annunciare Cristo. Subito qualcuno dirà: bene, ma il messaggio di Cristo non dà mica da mangiare… Certo, se la situazione richiede un aiuto di emergenza, abbiamo il dovere di dare questo aiuto, non c’è il minimo dubbio. Ma se vogliamo che i poveri in generale si tirino fuori dalla loro miseria diventando protagonisti del proprio sviluppo, non c’è il minimo dubbio che dobbiamo annunciare il Vangelo. Perché lo sviluppo dell’uomo viene da Dio, il progresso dell’uomo viene da Dio. L’uomo e i popoli progrediscono e si sviluppano quando conoscono la verità circa il loro rapporto con Dio, con gli altri uomini e con la natura. La rivelazione che Dio ha dato attraverso la Bibbia e il Vangelo, e soprattutto attraverso Gesù Cristo, non è qualcosa che riguarda solo la vita nell’aldilà, la salvezza dell’anima, ma qualcosa che riguarda il qui e ora. Il Regno di Dio è tra noi, inizia qui. E come comincia? Comincia quando noi conoscendo Dio, pregando Dio, seguendo la legge di Dio, diventiamo più uomini secondo il modello di Gesù, cioè progrediamo in umanità – e questo significa sviluppo non solo della mente e del cuore, ma anche sviluppo materiale della società, sviluppo economico. Qualcuno dice a noi missionari: “Ma perché andate ad annunciare il Vangelo dove invece hanno bisogno di mangiare?”. Andiamo anche a portargli da mangiare, e anche a insegnare loro a produrre per mangiare di più, ma soprattutto andiamo a portare il Vangelo, perché è la rivelazione di Dio che aiuta a progredire. Altrimenti rimane incerto tutto: il rapporto con la natura, il rapporto con gli altri, il rapporto con se stessi. Giovanni Paolo II nel suo primo discorso all’inizio del suo pontificato ha detto: “Non abbiate paura di Cristo! Lui solo sa cosa c’è nell’uomo”. E poi nella prima enciclica, la Redemptor Hominis del marzo 1979: “Cristo rivela l’uomo a se stesso”.

Queste cose che tu dici non si sentono dire tanto spesso quando si sentono parlare uomini di Chiesa. Mi pare che il “mainstream” ecclesiale ponga l’accento sul dialogo, e quindi piuttosto inciti a impegnarsi con gli uomini di buona volontà delle altre religioni, o anche non credenti, sulla base di valori comuni al servizio della giustizia e della pace. Non è così?
La verità è che il Vangelo è difficile da esprimere in una sintesi estrema, è complesso, è sfaccettato. Per cui nella storia della Chiesa di volta in volta si sono messi in risalto alcuni aspetti. Oggi siamo nell’epoca sociologica, tecnicizzata, laicizzata e quindi si mettono in risalto soprattutto gli aspetti che tu hai detto. Ma non si deve perdere –questo è il pericolo di oggi– l’essenziale della visione cristiana della vita e della storia dell’uomo. Il Papa, lo dice chiaramente nella Redemptoris Missio: “Non si può dare un’immagine riduttiva dell’attività missionaria come se fosse principalmente aiuto ai poveri, contributo alla liberazione degli oppressi, promozione dello sviluppo, difesa dei diritti umani. La Chiesa missionaria è impegnata anche su questi fronti, ma il suo compito primario è un altro. I poveri hanno fame di Dio e non solo di pane e di libertà e l’attività missionaria deve prima di tutto testimoniare e annunziare la salvezza in Cristo fondando le Chiese locali che sono poi strumento di liberazione in tutti i sensi” (n. 83). Certo c’è il pericolo, come dici tu ma anche come ricorda il Papa, che si riduca la missione ai fatti sociologici, culturali, economici, politici, il che non è giusto, non corrisponde al magistero della Chiesa. Che poi il mainstream di una certa pubblicistica attuale vada in questa direzione, beh, non posso fare altro che dichiararmi contrario.

Per spiegare la povertà dei poveri si punta sempre il dito contro l’Occidente e contro i ricchi. Si dà la colpa al colonialismo, al neocolonialismo, e più recentemente alla globalizzazione, al debito estero, all’economia di mercato. Ma è proprio vero che la ricchezza dell’Occidente dipende dallo sfruttamento del Terzo mondo?
In nessun modo. Questa affermazione è storicamente e fattualmente sbagliata. Ricchezza e povertà dipendono dalla capacità di produrre. Io faccio sempre l’esempio, molto banale ma concreto, della mia terra, la provincia di Vercelli, dove si producono 70-75 quintali di riso per ettaro. In Africa l’agricoltura tradizionale produce 4-5 quintali di riso all’ettaro. Per colpa del colonialismo? No, ma perché mancano le tecniche, non ci sono le sementi, manca l’irrigazione artificiale, non ci sono i concimi, non si conoscono i ritmi della produzione del riso. E quello che dico per l’agricoltura con l’esempio del riso, vale anche per l’industria. Le fabbriche dell’Occidente producono all’80-90% delle possibilità delle loro macchine, quelle dei paesi poveri producono al 10-20%. Le capitali africane sono cimiteri di macchine che non funzionano, di industrie chiuse. Mi dicevano qualche anno fa che in Ciad, nella capitale N’Djamena, i francesi avevano lasciato parecchie industrie: in pochi anni sono state tutte chiuse. Le uniche due aperte erano le fabbriche di birra, perché se avessero chiuso anche quelle sarebbe scoppiata la rivoluzione. E quando si guastavano le auto il presidente mandava il suo aereo presidenziale in Belgio a prendere tecnici e pezzi di ricambio per ripararle.

Quindi, se ho seguito bene il tuo ragionamento, la ricchezza dell’Occidente proviene anche da episodi storici di sfruttamento, ma la dinamica del suo sviluppo presenta un nesso originario con l’evangelizzazione, perché in fondo questa parte ricca del mondo è stata la prima ad essere evangelizzata.
Non c’è il minimo dubbio. Chi dice che la ricchezza e lo sviluppo dell’Occidente vengono dal colonialismo e dallo sfruttamento degli altri popoli, non conosce la storia. Prova a pensare quanto i cinesi abbiano sfruttato i territori dell’Estremo oriente: hanno colonizzato e dominato il Giappone, la Corea, il Vietnam, la Cambogia, la Mongolia per secoli, ma non si sono sviluppati. In Messico gli aztechi hanno dominato tutto il paese, i maya, i toltechi, gli zapotechi, ma non si sono sviluppati. E lo stesso dicasi dell’India, del colonialismo arabo in Africa… Se il progresso dell’Occidente non viene come sorgente dalla Bibbia, dal Vangelo, dalla Rivelazione di Dio – che, ripeto, rivela i rapporti con Dio, con l’uomo, con la natura – allora da che cosa deriva? Non resta che l’ipotesi razzista: gli occidentali sono più furbi, più capaci, più intelligenti degli altri. Ma non è vero. Gli uomini potenzialmente sono tutti uguali, hanno tutti ricevuto da Dio delle qualità. Un grande politico indiano, Pandit Nehru, nella sua autobiografia dice: “Perché l’India, che ha una civiltà antica di 5mila anni, è rimasta bloccata e quando si sono affacciati i colonizzatori era cristallizzata da secoli in caste, mentre invece in Europa forze oscure ribollivano all’interno dei popoli e una rivoluzione succedeva all’altra, e continuamente si scoprivano e cambiavano scienze e tecniche, modi di produzione, si scopriva che gli uomini hanno dei diritti, la democrazia… e tutte queste cose le hanno portate in India?”. Non arriva a dire che le “forze oscure” erano il cristianesimo, ma intuisce che l’Europa ha conosciuto qualcosa che le altre civiltà non hanno. La vera colpa dell’Occidente, allora, non è tanto quella di avere sottratto legname o petrolio ai paesi più arretrati, ma di aver tradito il mandato che Dio ci aveva affidato facendoci ricevere per primi la Rivelazione: invece di presentarci agli altri popoli come fratelli che avevano ricevuto la parola di Dio, che avevano maturato nella loro storia le basi del progresso, ci siamo presentati coi cannoni e con le armi per dominare gli altri.

Ma oggi questa responsabilità come si potrebbe declinare senza fare dell’assistenzialismo? Per esempio parlando dell’Africa hai suggerito un’ipotesi che alle orecchie di molti suona stonata, quella della nuova colonizzazione…
La parola “nuova colonizzazione” a dire il vero io non l’ho mai usata. E’ sbagliato utilizzarla perché suscita subito reazioni di rigetto. Io dico questo: tra ricchi e poveri del mondo, sviluppati e sottosviluppati, tecnicizzati e analfabeti esiste un abisso non tanto economico quanto culturale, e questo non si è ancora capito. Se fosse un abisso solo economico, o principalmente economico, basterebbe dire: mandiamo all’Africa una certa quantità di risorse finanziarie, e il problema è risolto. No, il problema è che i popoli africani -ma potrei dire anche gli indios dell’America Latina e alcuni popoli dell’Asia – vivono in una epoca storica molto ma molto più arretrata della nostra. Per cui nei villaggi africani arrivano la radio, la televisione, le pompe per l’acqua, l’automobile, ma la mentalità, così come le strutture sociali, sono ancora quelle preistoriche. Come superare quest’abisso culturale? Con l’educazione vicendevole. Quindi l’interesse dell’Occidente verso i popoli poveri andrebbe orientato soprattutto nel senso del dialogo, dell’incontro culturale, dell’educazione. Invece di mandare macchine e soldi dovremmo mandare uomini e donne, come facciamo noi missionari. Io porto ad esempio i missionari perché, come dice la Redemptoris Missio al n. 58, “La Chiesa ha sempre saputo suscitare nelle popolazioni che ha evangelizzato la spinta verso il progresso e oggi i missionari, più che in passato, sono riconosciuti anche come promotori di sviluppo da governi ed esperti internazionali i quali rimangono meravigliati dal fatto che si ottengono notevoli risultati con scarsi mezzi”. Verissimo, e ci sono esempi meravigliosi. Nel 1985, durante la grande siccità del Sahel, ho visitato il nord del Burkina Faso e ho visto realtà terribili, città invase dalla sabbia, gente che fuggiva, niente acqua, niente verde, tutto bruciato. Poi sono capitato nelle regioni delle due fattorie agricole di Goundi e Nanorò, impiantate dai fratelli della Sacra Famiglia di Chieri (To) negli anni ’50. La zona era verde, c’erano laghetti e canali, pompe che funzionavano, piante frangivento e la zona era ancora verde, con coltivazioni. Come mai? Perché da 40 anni in quel luogo stavano educando giovani e ragazzi (ogni fattoria aveva 30 ragazzi e 30 ragazze) che mandavano poi nei villaggi a insegnare queste tecniche agricole e di gestione dell’acqua.

Quindi non basta mandare miliardi di lire sotto forma di aiuti… mandiamoli, per carità, ma bisogna rendersi conto che il motore del progresso sono le idee dell’uomo, tutto parte dalla testa, dalle idee: se l’uomo non ha un concetto giusto di rapporto con la natura non si sviluppa niente. Purtroppo queste cose non si dicono mai. Anche sulla stampa cattolica, anche nell’animazione missionaria, nelle riviste missionarie, quando si parla dei popoli poveri si parla sempre e solo di rapporti commmerciali, di tassi di interesse, di banche. Invece il progresso comincia nella testa. Il Papa dice nella Redemptoris Missio: “La Chiesa offre col messaggio evangelico una forza liberatrice e fautrice di sviluppo proprio perché porta alla conversione del cuore e delle mentalità, fa riconoscere la dignità di ciascuna persona, dispone la solidarietà e l’impegno al servizio dei fratelli” (n. 58). Ecco, il rimprovero che io muovo al mondo cattolico di oggi è che non dice assolutamente più queste cose o le dice poco o le dà per scontate.

Infatti ho notato che hai rilasciato qualche intervista dove mettevi i puntini sulle “i” rispetto alla remissione del debito estero.
Io dico: benissimo, facciamo pure le campagne per la remissione del debito, cancelliamolo. Ma dico pure: guardate che anche rimettendo il debito in quei paesi non cambia nulla; se le cose rimangono come sono e non c’è un’opera di educazione, tra 5-10 anni quei paesi saranno daccapo. Quando io leggo che buona parte dei paesi africani destinano il 4-5% del misero bilancio nazionale alla scuola, e il 30-35% alle forze armate, dico che non si svilupperanno mai! Rimarrano popoli ignoranti, dominati dalle classi militari e politiche che divorano gli aiuti dall’estero. Perché come è stato accumulato quel debito estero che vogliamo condonare? Lo sappiamo tutti: comprando armi, facendo guerre, acquistando macchine che non servono a nulla perché nessuno le sa usare, che appena si rompono rimangono abbandonate perché nessuno è in grado di ripararle…
Mentre ci sono paesi indebitati come la Corea del Sud che invece si sono sviluppati
Perché in Corea del Sud è stato dato il massimo sviluppo alla scuola. Infatti troviamo una percentuale di alfabetizzati pari al 98-99%. Esiste un sistema universitario che in rapporto al numero di abitanti sforna più laureati dell’università italiana. Il bilancio dell’educazione è pari al 25-28% del bilancio statale. Allora sì che arriva lo sviluppo.

Abbiamo appena avuto la lezione dell’ex Zaire. C’era un dittatore che si chiamava Mobutu e per anni tutti hanno gridato contro di lui dicendo che era lui la causa della miseria, perché saccheggiava il paese e depositava i soldi sui conti all’estero. Tutto vero. Poi è stato rovesciato Mobutu, è arrivato Laurent Kabila, e all’inizio i giornali l’hanno salutato con entusiasmo: finalmente arriva Kabila, il progressista, il socialista che ha sempre combattuto per il popolo… passati tre mesi hano capito che era peggio di Mobutu. Per forza, con un popolo in quelle condizioni, senza scuole, senza assistenza sanitaria, senza alcuna istituzione di base capace di mantenere la democrazia, cosa si può pretendere?

Perdonami se ti faccio parlare di un tuo confratello, ma recentemente c’è stata questa notizia: padre Alex Zanotelli, comboniano, ha rifiutato un dono di 500 milioni di lire per i suoi poveri della baraccopoli di Korogocho in Kenya, dicendo che lui non vuole elemosine, ma la giustizia per tutti. Tu agiresti allo stesso modo?
Io non voglio giudicare un missionario che dà una bella testimonianza personale. Mi permetto però di osservare che, dal mio punto di vista, non approvo questo modo di agire, perché con quel contributo si poteva aiutare tanta gente, soprattutto si poteva educare tanta gente, creare strutture. Non capisco che senso abbia questo comportamento, se non quello di far parlare i giornali e richiamare l’attenzione su quei popoli. Ma mi pare che l’attenzione da parte del mondo occidentale ci sia già. Tanto è vero che quando parte qualche iniziativa per aiutare i bambini, gli affamati, i lebbrosi, ecc., la risposta economica c’è. Quel che manca è la risposta di persone disponibili a dare la propria vita. Ricordo che durante la carestia del Sahel incontrai in un paese africano il ministro Francesco Forte, che era responsabile del Fai, il Fondo aiuti italiani che aveva a disposizione 1.900 miliardi di lire per i paesi più poveri. E lui mi chiese: “Mi spieghi com’è possibile: il governo italiano non riesce a trovare in Italia 30 agronomi con esperienza di lavoro disposti a venire in questi paesi con uno stipendio mensile -se ricordo bene- di 8-10 milioni di lire, spesati di tutto. Poi vengo a sapere che in questi stessi paesi africani lavorano 600-700 missionari italiani che ci vengono gratis e per tutta la vita. Ma come fate?”. “Appunto, -gli risposi- voi fate leva sul fattore economico e uno, anche se andando in Africa guadagnerebbe un po’ di più, preferisce rimanere tranquillo in Italia senza rischiare la vita e la salute. Noi facciamo leva su altri valori. Uno dà la vita per i poveri non per guadagnare di più o per farsi una reputazione, ma per amore di Cristo, per imitare Gesù Cristo che ha dato la Sua vita per noi”. Io sono convinto che i giovani italiani di oggi, nonostante tutte le derive morali, hanno una potenzialità di bene che non è sfruttata. Se ai giovani si presentassero, in termini attuali e con modelli personali concreti, la bellezza e la grandezza della vocazione missionaria, sono convinto che tra di loro si troverebbero molte persone che vanno. Mentre invece si coinvolgono i giovani facendoli partecipare al commercio equo e solidale, alla campagna contro il debito estero, alla campagna per la banca etica… belle cose, ma non fermiamoci lì. Noi abbiamo un grande ideale: l’imitazione di Cristo per amore di Cristo, che ci fa amare gli uomini. Oggi manca una proposta vocazionale in questi termini, nelle campagne missionarie a favore del Terzo mondo non si parla più di questo, e questa situazione mi fa male, mi scandalizza. Viene da me un parroco di un paese della Brianza, dove ho fatto una conferenza sottolineando queste cose, e mi dice: le nostre famiglie già danno le offerte per i missionari, sono diposte anche a partecipare al commercio equo e solidale, firmano le campagne per condonare il debito estero… poi da borghesi tranquilli se ne stanno a casa. Ebbene, questa non è educazione. Bisogna dare ai giovani un grande ideale: dare la propria vita, imitare Cristo!

Vorrei concludere provocandoti ancora riguardo al terzomondismo cattolico e alle riviste missionarie. Le politiche di sinistra applicate nel Terzo mondo non hanno portato -è un dato di fatto- molti vantaggi ai poveri, eppure si ha un po’ l’impressione che la maggior parte dei cristiani impegnati, anche nelle forze missionarie, simpatizzi soprattutto con i governi di sinistra, come Cuba e l’Eritrea; con le guerriglie anti-imperialiste, come gli zapatisti o i curdi; coi movimenti di opinione pubblica anticapitalisti e antiglobalisti, come quello di Seattle o quello contro gli Ogm. Perché nell’ultimo trentennio c’è un po’ la tendenza a ripetere questo schema, nonostante la caduta del comunismo?
Non direi nell’ultimo trentennio, ma dal dopoguerra in avanti la politica internazionale, soprattutto il tema dei rapporti col Terzo mondo, è stata largamente dominata dalla propaganda del Pci. Io l’ho visto chiaramente perché lavoro nel giornalismo missionario dal 1953, quindi ho sempre partecipato a convegni e incontri, ho fatto interviste e ho visto come, quando nasceva qualsiasi problema relativo al terzo mondo, il primo a muoversi e a dare una linea di interpretazione, una chiave di lettura era sempre il Pci, cosa il mondo cattolico non sapeva fare. Che si trattasse delle indipendenze africane, della guerra in Algeria, del Sudafrica, di Cuba, automaticamente scattava sempre da un lato un’analisi marxista della povertà, della società e del mondo, dall’altro un allineamento, nelle varie crisi, su posizioni filosovietiche e, all’inizio, filocinesi. E il piccolo mondo missionario che scriveva di queste cose, mancando una politica culturale rispetto al terzo mondo in campo religioso da parte della Chiesa e in campo politico da parte della Dc, finiva per rimanere profondamente influenzato da questa egemonia culturale del Pci. Il caso più classico è quello del Vietnam, ma lo schema era già stato collaudato sin dai primi anni Cinquanta, sin dall’avvento del maoismo in Cina. Perché all’inizio degli anni Cinquanta venivano espulsi dalla Cina centinaia di missionari italiani, e sui giornali italiani, compresi quelli borghesi, si leggeva che i missionari italiani però non rispettavano la cultura, dominavano la popolazione, ecc., ed era invece giusto che la Cina conquistasse la sua libertà. Questi giudizi venivano scritti sui giornali italiani, anche su quelli borghesi: il comunismo veniva tanto più accettato quanto più era lontano dall’Italia. Quindi tutti i giornali borghesi condannavano il comunismo in Cecoslovacchia e il comunismo in Istria, ma riguardo a Mao si diceva: “In Cina tutti hanno da mangiare a sufficienza, ognuno ha la sua scodella di riso”. Era la frase che si leggeva su tutti i giornali, ma non era affatto vero: negli anni delle crisi, nel 1963-64, sono morti 12 milioni di persone per fame. E anche i cristiani approvavano molte di queste posizioni.

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