
La Pop art di Politi, una 16enne ok e Figli della Foca
Ti invio con un po’ di ritardo qualche parola di spiegazione per i tuoi lettori a quella mia lettera a un amico a New York. Maurizio Cattelan è per me una metafora. La metafora del giovane artista italiano costretto a fare tutto da sé, ma malgrado le vischiosità burocratiche, le difficoltà di comunicazione e del libero scambio in un Paese restato indietro, è diventato forse l’artista contemporaneo più famoso al mondo. Questo giovane partito alcuni anni fa da Ravenna per approdare dapprima a Bologna poi a Milano e ora a New York è l’esempio vivente di come la qualità e la determinazione possano avere la meglio su strutture museali inesistenti e uno statalismo che ignora i migliori per proteggere i mediocri. In Italia ci sono tanti Cattelan che non hanno né il suo talento né fortuna, ma che meriterebbero molto di più del nulla che hanno. Migliaia di Cattelan relegati in provincia, con grandi potenzialità ma poche possibilità di esprimersi, perché l’Italia, a causa di una mancanza di liberismo culturale, dovuto ai meccanismi di una burocrazia che limita qualsiasi movimento, è fuori dai circuiti culturali più significativi. Oggi nessun artista né galleria stranieri vogliono tentare di esporre in Italia poiché le limitazioni e i vincoli burocratici sono stressanti: perché affaticarsi a venire in Italia quando altri paesi offrono di più e di meglio senza alcuno sforzo? Questa mia lettera vuole essere un contributo ma anche una sollecitazione, al prossimo governo, a renderci più liberi, più flessibili, più cittadini del mondo. Non vogliamo essere costretti ad emigrare. L’emigrazione, che ritengo anche un ottimo ingrediente culturale, deve essere una libera scelta, non una necessità vitale.
Giancarlo Politi, Direttore di Flash Art
Stamattina mi è capitato sotto gli occhi un giornale che diceva che se Berlusconi vince le elezioni è la fine della democrazia. Ho 16 anni, di politica capisco poco e non trovo che Berlusconi sia un santo, ma sono rimasta indignata da questa campagna elettorale. Credo di poter comprendere che se B. vince è perché il popolo lo vuole, quindi dovrebbe anche essere nelle condizioni di poter lavorare. Sono scandalizzata e mi aggrappo ai pochi appigli di verità che mi rimangono, perché altrimenti gli adulti sembrerebbero solo un gruppo di pazzi che non sanno più distinguere ciò che è vero e giusto da ciò che non lo è (vedi riforma della scuola: piuttosto spenderò i miliardi ma i miei figli a quella scuola non li manderò mai). Perché se queste sono la democrazia e la giustizia che noi giovani ereditiamo, siamo messi davvero bene…
Marisa Vicini, Bergamo
Sono sconcertato dalle reazioni che l’intervento di Celentano sui trapianti ha provocato. Tanta ostile unanimità è sempre segno di qualcosa di poco tranquillizzante. Nemmeno Tempi è intervenuto. Preoccupante è stato il non aver affrontato l’argomento nel suo punto cruciale; nessun commentatore ha parlato del silenzio assenso, ma tutti hanno discusso della donazione in senso generale senza porre l’attenzione sui precisi contenuti della legge (e qui deve essere rimarcata l’assoluta mancanza di informazione che il Ministero della Sanità aveva l’obbligo di dare). Premesso che non ho molta simpatia per Celentano e che sono favorevole alla donazione, il suo intervento sul tema del silenzio assenso per l’espianto degli organi è stato straordinario. In uno Stato Civile, non può emergere, di fatto, uno spirito cogente nell’elaborazione e nell’applicazione di una normativa in un campo particolare come quello della donazione degli organi. Anche le parole dette dall’ospite nella cosiddetta puntata riparatrice, hanno confermato l’assurdità della legge. Ricordo alcune citazioni: «Senza il silenzio assenso calerebbero di molto gli organi donati» e allora? La donazione è atto di puro amore e non un’azione obbligatoria stabilita per legge. «Non si deve parlare di silenzio assenso, ma di consenso informato. Se il cittadino non è stato informato non è considerato donatore». Come fa una persona morente, che non vuole donare gli organi, a dimostrare di non essere informato? «Donare gli organi è un dovere». «Una persona che non respira più da sola e con elettroencefalogramma piatto è da considerarsi morta» ma è capitato che, pur staccando il respiratore artificiale, il cuore continua a battere. E allora cosa fa il medico? Dà una pizzicatella? Troppo è lasciato alla discrezionalità umana, e viste le pericolose circostanze che stanno portando alla legalizzazione dell’eutanasia, qualche dubbio deve sorgere.
Giacomo Cingolani, Recanati
Sono Direttore di un Centro di Formazione Professionale convenzionato con la Regione Lombardia. Ho letto con vivo dispiacere quanto Casadei ha scritto sul numero 18 di Tempi a proposito di Formazione Lombarda.Per questo lo inviterei cordialmente a visitare il nostro centro, ma ancora di più i centri dei Salesiani, o della Fondazione Clerici, o dell’Opera Pia Marta, ecc. Toccherà con mano che in questi anni migliaia di ragazzi accolti dai nostri istituti non solo hanno trovato un lavoro adeguato alla loro formazione, ma anche luoghi educativi e corsi qualitativamente eccellenti. Si accorgerà che erano spesso in situazioni di disagio e, non pochi, portatori di gravi handicap fisici e psichici che di fatto li escludevano dal circuito scolastico. Potrà rilevare l’impegno di centinaia di docenti che, avendo a cuore la sorte dei propri ragazzi, li seguono e li accompagnano ogni giorno tra mille difficoltà nel coniugare le esigenze educative e di formazione e quelle del mondo imprenditoriale. Docenti che negli ultimi anni hanno dovuto, e saputo, affrontare cambiamenti notevolissimi. La invitiamo anche a farci i conti in tasca, non solo per quel che riguarda le nostre retribuzioni, ma anche in termini di efficacia economica dei corsi: si sorprenderà nel constatare dove realmente si hanno sprechi e sperperi, altro che greppia e abbuffate! Certo non tutto è perfetto, ci sarà anche chi, nel sistema della formazione professionale, ha approfittato e magari lo fa ancora oggi; il Ccnl, scaduto dal ‘97, impone rigidità e vincoli a volte esasperanti, ma generalizzare così vuol dire buttare via con, l’acqua sporca, anche il bambino. Anche noi vorremmo l’accreditamento (con regole certe e tendenzialmente liberali però, non stataliste e centraliste) e la flessibilità: una normativa più elastica ci permetterebbe di affrontare in maniera sicuramente più agevole le diverse problematiche che l’ingresso nel mondo del lavoro pone. Eppure il rapporto costante che i Cfp stabiliscono con migliaia di aziende e i risultati ottenuti (didattici e occupazionali) sono il segno inequivocabile di una vivacità e di una determinazione non comuni. Cordiali saluti
Diego Sempio, Milano
IL DIRETTORE RISPONDE
L’aver incrociato sulla nostra strada il direttore della prima rivista d’arte d’Europa è per noi un onore. Tanto più che l’incontro, del tutto casuale, su segnalazione del nostro Marco Cirnigliaro, è avvenuto sul terreno della più bella delle passioni civili. Che Giancarlo Politi, uomo di sinistra, abbia trovato il modo di spiegare con tanta forza e sincerità perché Berlusconi è il politico che più d’ogni altro rappresenta paradossalmente le intenzioni della libertà e, quindi dell’arte e della cultura, contro la cappa di conformismo e, in sintesi, di clientelismo, che dominano il mondo della cultura e dello spettacolo, è un fatto che non poteva non trovare la nostra curiosità e la nostra più fraterna adesione. Adesso che conosciamo la strada, ben venga il tempo in cui i cuori si infiammano di un’opera comune. Dobbiamo vederci, Giancarlo. Quanto a Marisa, lotta insieme a noi, Celentano pure (specie se sotto schiaffo, se segue l’arte e mette il democristiano da parte… ci eviti però il crescendo d’indignazione emotivamente surriscaldata del giovane Gad).
Qui di seguito poi, l’ottimo Rodolfo Casadei risponde alle osservazioni avanzate da Diego Sempio. “Non era affatto mia intenzione lanciare accuse indiscriminate al mondo della formazione professionale convenzionata, ma piuttosto denunciare la rigidità e la sostanziale ingiustizia del sistema del convenzionamento. Dal 1980 vige una delibera regionale che stabilisce una volta per tutte quali sono gli enti che hanno diritto di usufruire dei fondi regionali. Questo automatismo non è più tollerabile. Un criterio di razionalità ed efficienza impone che questo mercato chiuso venga aperto alla libera concorrenza.
I meriti degli enti “storici” della formazione sono innegabili, come è innegabile che abbiano svolto fino ad oggi una funzione non solo economica, ma anche sociale e pedagogica. E allora chi è certo di aver fatto fino ad oggi un buon lavoro non dovrebbe aver paura della liberalizzazione del sistema, perché i suoi meriti appariranno più evidenti.
Del resto Sempio scrive di essere favorevole all’introduzione del sistema dell’accreditamento, che aprirebbe di fatto il mercato della formazione e permetterebbe di valutare meglio l’efficienza delle varie agenzie, e dunque la pensa come noi.
Uno dei problemi della formazione è che attualmente non esistono studi o indagini di nessuna fonte che ci dicano quanti giovani abbiano trovato lavoro grazie alla formazione professionale. Io credo (e mi pare puro buon senso) che un accreditamento serio dovrebbe tenere conto anche di questo criterio. R.C.”
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!