
Lettere al direttore
La pesca di Esselunga e l’anima radicale della sinistra

Caro direttore, come è stata abile l’agenzia pubblicitaria (o quel che sia) della Esselunga a filmare e divulgare uno spot, di cui tutta l’Italia provinciale ora parla e discute con il solito metodo del lancio di slogan, senza reali contenuti e ragioni. La stessa Esselunga sta cercando di stemperare le polemiche sottolineando come si sia trattato di un semplice spot pubblicitario, con lo scopo di aumentare i clienti del già famosissimo marchio. Anche un mio amico, addetto, per professione, alla comunicazione, mi ha spiegato come, in fondo, si tratti di una mera operazione commerciale, condotta con grande abilità. Allora, ok: si tratta di una semplice operazione commerciale. Mettiamola così.
Tale operazione, però, ha fatto venire allo scoperto la vera anima “radicale” dell’attuale sinistra, smascherandone la vera indole “borghese”.
Mi spiego. Potrei capire, ma non condividere (come non ho condiviso anche con rischio personale), la battaglia fatta dalla sinistra per introdurre anche in Italia il divorzio, ma non riesco assolutamente a capire come, a distanza di più di 50 anni, la sinistra non abbia neppure il coraggio di analizzare freddamente ciò che è avvenuto con l’approvazione del divorzio. Ed è avvenuto che la mentalità divorzista che la legge ha di fatto creato nel nostro Paese ha portato con sé un impressionante indebolimento dell’istituto familiare, con un danno incalcolabile per l’intera nostra società. Ha reso tutto più fragile: tutto è diventato più dipendente da un sentire individuale, che spesso sarebbe solo passeggero, ma che il divorzio, possibile ora in tempo veloci, rende irreversibile.
Come può una sinistra, che dovrebbe tutelare il bene del popolo, non ammettere che tutto questo è un male per la nostra convivenza, che diventa sempre più fluida ed evanescente? Una famiglia resa debole costituisce un male per tutti. Perché non ammetterlo, cercando almeno i rimedi necessari? Sono impressionato da come la cultura di sinistra (prima ancora della relativa politica) sia indifferente rispetto alle conseguenze negative di certe leggi. E di come tale cultura sia costretta a difendere ideologicamente un legge anche di fronte ai disastri che essa sta procurando. È impressionante come detta cultura, di fronte allo spot pubblicitario della pesca, sia insorta vedendo in tale video un subliminale attacco all’istituto del divorzio. Come se non fosse vero che i figli, piccoli o grandi che essi siano, soffrono enormemente per la divisione dei genitori, perché così è la natura, checché ne dicano psicologi e sociologi. Tale cultura si pone così fuori dalla realtà, in nome di un principio che non tiene conto dei risvolti umani elementari che stanno nel cuore di ogni essere umano.
La stessa cosa si potrebbe dire rispetto ad un altro tema portato avanti (con successo, purtroppo) dalla sinistra. Un conto è prevedere (anche se è totalmente sbagliato) che l’aborto possa avvenire in alcuni casi particolari, un conto è parlare del ”diritto” all’aborto, del diritto inumano, cioè, di impedire la nascita di un nostro fratello o di una nostra sorella. Si parla spessissimo delle persone fragili da parte della sinistra, ma poi si infierisce contro il più fragile di tutti, colui o colei che vorrebbe nascere tra di noi. Con la conseguenza che si infierisce anche contro ogni tentativo di porre almeno alcuni rimedi all’uso, reso sempre più privatistico, di quanto previsto da quella legge sbagliata all’origine e nell’applicazione che è la 194. Anche in questo caso, non si vuole guardare in faccia alle conseguenze negative dell’applicazione di tale legge, sia a livello personale (con danni psicologici e spesso fisici irreversibili) sia a livello sociale (in tempo di denatalità, ogni anno, ad esempio, si impedisce di nascere agli abitanti di una intera città come Cremona!).
Insomma, un semplice spot pubblicitario ci ha fatto vedere come non ci sia alcun pentimento rispetto a leggi sbagliate che, in fondo, parlano solo di attacco alla vita: quella della famiglia e quella di ogni singola persona. Tempo di barbarie.
Peppino Zola
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