
La parte nobile del maiale
Ecco la galleria d’arte. Ordinati, belli, certamente una bontà quei prosciutti in mostra. Ventiduemila l’anno ne escono dall’azienda Dall’Ava, una delle realtà eccellenti che diffondono in Italia e nel mondo la cultura del San Daniele. Qui la parola quantità, anche se la conoscono, la evitano. Al massimo si è arrivati a quota trentamila. Qui si fa sul serio l’esperienza della qualità, della dedizione, del fare e del fare bene quasi ancora col respiro del manipolar artigianale, ci dice con calma e sicurezza Carlo Dall’Ava, l’imprenditore che adesso guida l’avventura. «Sono cinquant’anni che la vediamo così. Mio papà Natalino e mia mamma Paola ci hanno speso la vita per tenere alta la tradizione culinaria di questa terra vivace». La Dall’Ava sta proprio nel cuore del paese di San Daniele. Friuli, mezz’ora da Udine. «Ancora poco e spostiamo tutto più sotto, sulla Provinciale. Nuova fabbrica, maggiore funzionalità, più spazi, però la sostanza non cambia, il sapore del prosciutto rimane quello di una volta. Poi scendiamo a vedere come sta venendo su».
Intanto ci mette in mano del sale grosso. Dice di assaggiarlo. Non pare salatissimo, piuttosto sul dolce sembrerebbe. Glielo diciamo. Lui conferma. Poi spiega: «Il sale marino è l’unico ingrediente che usiamo con la parte nobile del maiale. Si tratta di un tipo di sale molto particolare che acquistiamo a Margherita di Savoia, in Puglia. Solo così si conserva il sapore del San Daniele. Abbiamo preferito sacrificare facili guadagni, non correndo dietro al concetto di produzione sfrenata. Non fa per noi. Dall’Ava la pensa così».
Il signor Carlo è convinto che fare prosciutto con quell’attenzione, con quei controlli puntuali che iniziano con la preoccupazione della provenienza della bestia e, soprattutto, che cosa mangia, darà ancor più soddisfazione. Il perché naturalmente lo motiva: «Sono convinto che questi siano anni importanti per quanto riguarda la sfida dell’alimentazione. Sempre più ci domanderemo che cosa mangiamo. E siccome alla salute ci teniamo, ecco che le persone vorranno trovare sulle loro tavole cibi sani, privi di conservanti e antiossidanti. Le prosciutterie Dok Dall’Ava sono nate proprio per dimostrare che si può pranzare senza preoccupazione alcuna sul tipo di alimento che si è scelto. Un messaggio forte che stanno apprezzando molto le famiglie con bambini».
Lavoro duro e umile
Carlo Dall’Ava ha iniziato a lavorare in azienda nel 1982 quando aveva solo 17 anni. Lavoro umile come è giusto che sia quando si è alle prime armi. Osservava i genitori all’opera, cercava di capire papà Natalino quando diceva che «lavorare bene significa anche rispettare il nome del paese, noto in tutto il mondo come sinonimo di serietà produttiva». Dall’interno ha vissuto la crescita dell’azienda anche a livello internazionale. Con, nel 1988, la prima prosciutteria Dok Dall’Ava proprio a San Daniele. Negli anni successivi, con la formula del franchising, ne sono state aperte a Udine, Pordenone, Gorizia, Trieste, Treviso, Padova, Cortina D’Ampezzo, Milano Marittima, Palma de Mallorca, Klagenfurt e Les Arcs. «Nel 2004 c’è stata la grossa quanto ghiotta novità del taglio del primo Patadok. Si tratta di un prosciutto italiano fatto proprio in questo stabilimento con Cerdo Iberico Romanico Spagnolo, allevato allo stato brado. In Extremadura, distesa iberica che ha tutto per far crescere in salute questi animali.
Ma come nasce l’idea di far stagionare a San Daniele nello stabilimento dei Dall’Ava un prosciutto cerdo iberico romanico spagnolo? «Agli inizi degli anni Novanta, l’associazione Slow Food, mi chiamò per valutare se eravamo interessati come Dok a partecipare a un non meglio definito “laboratorio del gusto” all’interno della manifestazione “Milano Golosa”. Arrivai a Milano alle 20.15 con quindici minuti di ritardo e mi fu detto: “Vai lì. E taglia”. Così ho fatto fino alle 9. Mi avevano destinato al laboratorio “Prosciutti italiani con l’intruso”, e mentre affettavo sentivo i relatori che osannavano l’intruso. Vuole sapere chi era l’intruso così tanto apprezzato? Beh, quell’intruso era il Patanegra».
Dalla Spagna alla Sicilia
Rientrato a casa e francamente colpito da quanto aveva visto raccontò tutto al padre. Che, incuriosito, partì per la Spagna. E vide ciò che bastava per lanciare il progetto Patadok. Che divenne concretezza nel 2002. «Ricordo che partimmo con un furgone per Fregenal de la Sierra per comprare sul campo le cosce di questi splendidi maiali, con una percentuale di lardo pari al magro. Abbiamo seguito tutte le fasi di macellazione, rifilatura e carico della partita. Quindi rientrammo a San Daniele convinti di aver fatto la cosa giusta, che sarebbe stata premiata. Mio padre, un’altra volta, aveva avuto la vista lunga». Mentre assaggiamo quel prosciutto superiore, il signor Dall’Ava si improvvisa poeta. Esclama: «Che carne, si scioglie in bocca deliziosamente e così facendo si mescola al grasso suo che è candido e nello stesso tempo di rara fragranza».
Però l’azienda va oltre anche al Patadok. Infatti si giunge al Nebrodok. Il primo taglio bisogna datarlo al 2005. «Questo è un prosciutto italiano che realizziamo qui con cosce di maiali neri dei Monti Nebrodi in Sicilia. Una meraviglia quella parte di isola in provincia di Agrigento. Non mi dispiacerebbe se si riuscisse nell’impresa di fare questo straordinario prosciutto proprio nella zona dei Monti Nebrodi», confessa. Siamo ora sulla Provinciale. Scorgiamo operai al lavoro. Carlo Dall’Ava ci dice che è quella la nuova casa del Prosciutto San Daniele. «Si chiamerà Dall’Ava prosciutto learning center». A proposito di cultura.
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