
La notizia? C’est moi. Mica le fosse libiche, ma Bernard-Henry Lévy

La notizia? Sempre la stessa, c’est moi. Mica le fosse comuni di Haftar, ma me stesso, cioè io, Bernard-Henri Lévy, monsieur ego in espansione, il filosofo francese «tutto armiamoci e bombardate che io ci faccio un libro e un paio di documentari: poi quando iniziano a vedersi i danni cambia cavallo, fronte, trincea» e chi non salta islamofascista, dittatore o Putin è (copyright il Fatto).
INVIATO SPECIALE IN CAMICIA E SCORTA ARMATA
L’unico in grado di realizzare un reportage su se stesso con la collaborazione del conflitto libico e la partecipazione delle milizie pro-Sarraj, elevare a genere letterario ogni rappresaglia contro il suo nome, trasformare ogni suo articolo, saggio, intervento pubblico in acquisizione canonica del suo brand. Chi se non BHL può annunciare di aver visitato un’immensa fossa comune a Tarhuna, twittando una propria foto in abito scuro, camicia Chavret bianca e smorfia da diva sul Sunset Boulevard in posa sulla terra che ha sputato le ossa di 47 uomini, donne e bambini? Chi può specchiarsi nelle gallery a corredo di propri reportage, altro che palme ridotte all’osso, carcasse d’auto spolpate, pick-up equipaggiati con cannoni antiaerei, ma foto di se stesso che non sbaglia una camicia neanche a bordo di convogli armati, seguito da una carovana di auto e militari, circondato da «vere forze di polizia che proteggono la stampa libera», l’ombra solerte del cameraman che ne cattura il profilo migliore, il capello al vento e l’aria di chi ha lasciato l’auto in doppia fila sulla Croisette?
TU, IL SUPER-IO E NOI
Chi può rubare la scena alla cronaca e, poco dopo essere stato accolto in Libia da raffiche di mitra e insulti al «cane ebreo», destreggiarsi con la scrittura spsp, seconda persona singolare presente, che tanto conferisce urgenza alla trama, il super-io, perché io sono BHL e voi muti, e il noi maiestatis? «Ecco che un secondo pick-up, più agile, inizia a darti la caccia, ti sorpassa, trecento metri dopo ti obbliga a inchiodare, a fermarti proprio dove finisce il rettilineo, sollevando un nugolo di polvere. Vedi l’occupante del veicolo aprire entrambi gli sportelli e balzare giù, col suo kalashnikov prima spianato e subito dopo puntato contro di te. Gridi all’istante…». E poi «Che io abbia visto e compreso tutto ciò è il motivo che ha spinto alcuni a considerarmi, all’improvviso, persona non grata? Sarà Tarhuna una specie di piccola Tebe in territorio libico, una città in cui le anime dei morti perseguitano non solo i vivi ma anche i testimoni che, come Hertzog, Roussel e me, siamo venuti a tentare di rompere il silenzio che la circonda? Avrei dunque dovuto saper decifrare il nervosismo del mio interprete del luogo, quando mi sussurrò all’orecchio che era meglio lasciare che i morti seppellissero i morti e andarsene via da lì al più presto, ché la visita stava durando troppo? Forse sì». E infine: «La Libia è a un crocevia. Lo siamo anche noi». Amen.
IL FILOSOFO E NOI ASINI MAFIOSI VENDUTI A PUTIN
Dopo di che, risorvolato il Mediterraneo in jet privato, lasciata la Libia ad occuparsi del “suo” caso diplomatico e i giornali di tutto il mondo a scrivere delle sue poche ore di permanenza invece che di fosse comuni, il filosofo più potente del mondo (copyright Foreign Policy) è tornato a dedicarsi al suo core business: regalare voti a Salvini. Alla sola vista del leader della Lega in studio a Quarta Repubblica, l’io me stesso medesimo di Lévy in collegamento con Nicola Porro decide di riservare a noialtri asini provinciali – noi cioè all’Italia, piagata da «mafia» e «terrorismo» e pronta a «vendersi a Putin» – un bizzarro sermone sui migranti che i «barbari sovranisti» additano come untori ignorando che «senza immigrazione maghrebina e africana non c’è ricerca e non si troverà mai un vaccino o una cura contro il Covid». Morale, «se in Francia o in Italia si troverà un vaccino bisognerà dire grazie ai migranti».
Ma che, siamo su Scherzi a parte?, chiede Salvini, mentre l’autore del Manifesto per l’Europa contro populisti e sovranisti e de Il virus che rende folli trova «terribili ignobili e vergognose» le lamentele del sindaco di Lampedusa Totò Martello sui pescatori nordafricani che sconfinano in acque territoriali sottraendo pesce agli italiani. Lo dimostra il reportage mandato in onda sulla questione, ma come ha ben scritto Gian Micalessin:
«Per l’indispettito Lévy quelle riprese non contano nulla. Anzi è “vergognoso mostrare immagini di questo genere come se rappresentassero l’opinione del popolo italiano”. Insomma per il presunto campione del pensiero liberale d’oltralpe sarebbe meglio non far vedere – ovvero censurare – un servizio colpevole di “stigmatizzare e individuare come problema qualche barchetta che viene a pescare al largo delle coste italiane”. Che quelle barchette abbiano scaricato un terzo dei 12 mila migranti arrivati quest’anno – dopo i 600 mila sbarcati dalla fine del 2013 – è ça va sans dire irrilevante».
PENSIERO ORIGINALE: IL VIRUS È L’EGOISMO
Che il bel paraguru (copyright il Foglio) sia noto per il suo talento di identificarsi anima e corpo con la causa dell’oppresso del momento salvo poi contraddirsi e sposarne un’altra di senso opposto, del suo gridare alle fake news salvo prendere cantonate, si è già scritto tutto. E si continuerà a scrivere perché, sia che si occupi di carnai umani, di scagliarsi contro «l’assenza di vergogna» di chi durante il lockdown pubblica immagini di cosa sta cucinando «quando un quarto del nostro pianeta è sull’orlo della fame», sia che garrisca in tv contro «xenofobia, nazionalismo e sovranismo», del pensiero del Dorian Gray che non invecchia mai (copyright La Stampa) caro all’Eliseo e carissimo alle élite europee non possiamo fare a meno. Anche perché, quando le cose sono complicate, aiuta sapere che probabilmente è vero il contrario di quel che scrive lui. Va da sé che il virus che affligge il mondo non sia più Covid ma «l’epidemia di egoismo e cattiveria, della paura dell’altro» (un pensiero originalissimo rilasciato ieri alla Stampa), che l’emergenza migranti diventi l’emergenza cafoni incolti inurbani guidati dal «nefasto» Salvini, «uno che cerca di dare a chi lo chiede il permesso di essere violento, la licenza di uccidere».
Soprattutto va da sé che i titoli sulle fosse comuni in Libia cedano il posto a quelli sugli “Insulti antisemiti a BHL”. La notizia? Sempre la stessa, c’est moi. Mica la Libia, Covid, gli sbarchi, ma sempre è io, Bernard-Henri Lévy. «Eh sì! Sono tornato in Libia!», ha twittato all’alba lanciando la pubblicazione del suo reportage su Paris Match. «Nonostante le minacce, l’imboscata, i fiumi di fango che sapevo sarebbero stati riversati su di me in seguito, dagli amici di Erdogan e Putin. Difficile intimidirmi e contenermi». Eh già.
Foto da Twitter
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