
La nemesi della balena gialla

Che sta succedendo al Movimento cinque stelle? C’è già chi ne prefigura l’imminente scomparsa e chi ha già iniziato a intonare il requiem (forse con un po’ troppo anticipo), ma è certo che i segnali di una sua implosione ci sono tutti.
Dopo il voto alle Europee, in cui si sono ribaltate le percentuali a favore della Lega, al “non partito” è andato tutto storto. Un governo rimediato in fretta e furia con il Pd più moscio e debole della storia, scelte sbagliate, un Grillo depresso, un capo politico sempre più “politico” ma sempre meno “capo”, l’autogol sul voto in Emilia-Romagna dove i sondaggi lo danno al 5 per cento, le continue defezioni. Lorenzo Fioramonti, il Pierino delle merendine, va a sinistra; Gianluigi Paragone, il leghista-berlusconiano-grillino, s’appresta a fare il percorso inverso e a planare a destra. Ieri, poi, altri due deputati, Nunzio Angiola e Gianluca Rospi, hanno abbandonato il gruppo alla Camera per passare al Misto.
Nel mezzo, altre varie ed eventuali che per noi “non grillini” sono questioni satellitari, ma che da quelle parti contano eccome, come la scoperta che tutti fanno i furbetti con la rendicontazione delle stipendio da parlamentari mentre se ne vanno a fare le vacanze di Natale alle Maldive. Per chi ha un po’ di memoria storica e sa leggere tra le righe dell’informazione, tutta questa attenzione per l’incoerenza grillina ricorderà il “trattamento Di Pietro”. Eroe di Mani Pulite finché fu utile all’establishment, scaricato quando divenne ingombrante (dopo anni di campagne della destra sulla sua “gestione immobiliare” in cui non accadeva niente, bastò una puntata di Report per affossarlo). Ergo: tenete d’occhio i giornali sugli affari della Casaleggio associati. Quando il nome passerà dalle pagine interne alla prima, significa che ci siamo.
Una nuova Dc (di meteore)
Ieri sulla Stampa un’analisi di Massimiliano Panarari (Il paradosso del Movimento apolitico travolto dal ritorno delle ideologie) metteva bene in luce alcune questioni. Nella lettura del sociologo, il M5s, nato dal progetto rivoluzionario di superare destra e sinistra, asceso rapidamente al potere con una spericolata operazione “trasformista” (governare prima con un partito di destra e subito dopo con altri di sinistra), ora pagherebbe il ritorno delle due ideologie, progressista da un lato e conservatrice dall’altro. Se esse sono superabili nel momento dell’ascesa (anzi, proprio il fatto di presentarsi come una nuova Dc, una sorta di Balena gialla, permette di occupare il centro, raccogliendo a destra e a manca), poi non lo sono al momento delle scelte. Allora, l’antica dicotomia torna a galla e il M5s si spacca.
La lettura di Panarari propone poi una seconda chiava interpretativa, segnalando come, storicamente, ogni movimento di “rottura” poi deve attraversare la catarsi governativa, farsi più malleabile e quindi re-inventarsi per continuare a esistere. Qui, però, secondo il sociologo, il M5s sta pagando dazio perché non ha guide adulte che lo sappiano indirizzare e perché tutto sta accadendo troppo in fretta. Di solito, sono cambiamenti che accadono nel corso di decenni: nel caso M5s tutto sta avvenendo troppo rapidamente.
Ha bruciato tutte le tappe alla velocità della luce, quasi al punto da esaurire il suo ciclo vitale – e, in effetti, la sua parabola sotto il profilo dei consensi parrebbe andare in quella direzione, col rischio che le 5 stelle si convertano in altrettanto meteore.
Quando vanno nel panico
La lettura, a nostro avviso, offre alcuni spunti interessanti sulla parabola pentastellata, ma non coglie un dato di fondo che ci pare imprescindibile. Il Movimento non può smussare, cambiare, assopire o far rinascere alcun progetto o identità politica perché, semplicemente, sin dagli albori, non li ha mai avuti. Il Movimento è sempre stato una e una sola cosa: il “vaffanculo” urlato in piazza da Grillo contro la casta. Punto. Tutto il resto o è conseguenza scombiccherata di quel grido (reddito di cittadinanza, spazzacorrotti, abolizione della prescrizione…) o è figlio delle manie ecologiche e anti-industriali del fondatore (Ilva, grandi opere, plastic e sugar tax). Ma questa non è una visione politica. Questa è l’ideuzza venuta un mattino a un comico dopo aver letto un editoriale di Travaglio o qualche blog turbocomplottista.
E, infatti, quando si tratta di parlare d’altro che non sia la lotta ai privilegi o alle lattine di Coca Cola (vedi politica estera, euro, immigrazione), i grillini vanno nel panico e la risolvono o 1) in una maniera che non risolve nulla,
nonostante le capacità camaleontiche di Domopak Conte e Di Maio, e cioè affidandosi alla “neutralità” del voto su Rousseau. O 2) aderendo ai luoghi comuni propinati dal mainstream e dunque finendo per fare i servi sciocchi del potere che tanto dicono di voler combattere.
La funzione del M5s
La conclusione è dunque che al M5s non possono essere applicate le categorie politiche storiche che di solito si applicano ad altre formazioni per il semplice fatto che il M5s è davvero un “non partito”: è più che altro un fenomeno che è stato sostenuto mediaticamente da chi aveva interesse a farlo, uno steward del potere, un’ancella birichina di quell’egemonia culturale che indirizza il paese.
Il M5s non finirà perché si esaurirà la sua spinta politica o perché sarà incapace di aggiornarsi (come è avvenuto, per esempio, nel passaggio Lega Nord-Lega, An-FdI, Pci-Pd), ma semplicemente quando avrà esaurito la funzione per cui gli si è permesso di esistere: la funzione degli utili idioti.
Foto Ansa
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