
La morte di Castro dimostra che il comunismo è una religione totalitaria

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Le ritualità con cui Cuba celebra la morte di Fidel Castro sono la dimostrazione plastica che il comunismo non è politica, ma religione. I nove giorni di lutto nazionale (nove come i giorni delle novene, ispirate ai nove giorni di preghiera degli apostoli e di Maria compresi fra l’Ascensione e la Pentecoste), le ceneri portate in processione per tutto il paese (come le statue delle Madonne pellegrine traslate secondo itinerari prestabiliti), l’apertura al pubblico di un mausoleo dove sarà possibile visitare le spoglie del defunto (santuario dove cubani e militanti internazionali pregheranno Fidel di vegliare sui loro cari, come accade a Predappio alla tomba di Mussolini) sono la mimesi puntuale del culto religioso.
Si discute se Castro sia stato un dittatore più crudele o più benefico, ma tale discussione muove da un punto di partenza riduttivo: prima che dittatore, il líder maximo è stato il vertice istituzionale di un sistema totalitario. E i sistemi totalitari altro non sono che la versione secolarizzata delle religioni. Come ogni religione ha bisogno di un vertice visibile, nel quale coincidono autorità e carisma, offerto alla venerazione dei credenti, così i totalitarismi degli ultimi due secoli hanno bisogno che le masse si dedichino al culto idolatrico di un capo, nel quale ripongono la loro fede e per il quale sono pronte a morire. Fidel, come gli altri tiranni degli ultimi 90 anni, ha goduto del consenso di vaste masse perché, persa la fede religiosa trascendente, le masse hanno bisogno di un idolo sul quale riversare la loro abnegazione religiosa. Con Fidel Castro è morto il papa del comunismo. Ma, come dice Alonso Muñoz Perez, mentre alla morte del Papa segue un conclave, il papa comunista si sceglie da sé il suo successore.
Foto Ansa
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