Terra di nessuno

La mia domenica all’Angelus da papa Benedetto XVI (siamo venuti qui proprio come si va da un padre)

Roma, domenica 18 febbraio – Alle sette e trenta del mattino sopra San Pietro il cielo, contrariamente alle previsioni meteorologiche, è sereno. In viale della Conciliazione, nessuno. I bar alzano le saracinesche, i camerieri stendono le tovaglie sui tavolini all’aperto. Una cassiera, svogliata: «Ma quanti tramezzini avete preparato? Qui nun ce sta nessuno…».

Ore nove, per entrare in basilica solo una modesta coda di giapponesi che entrano e senza nemmeno guardarsi attorno scattano, scattano, con gli iPhone e le Nikon. Solo davanti alla tomba di Giovanni Paolo II una piccola folla di pellegrini prega, in silenzio. Quanti verranno a salutare il Papa, nella prima domenica dopo l’annuncio? La piazza sembra così grande, quando è vuota.

Due cerimonieri all’ingresso a bassa voce discutono di una Golf diesel che uno dei due vuole vendere. Le proporzioni monumentali dell’altare del Bernini, l’immensità di San Pietro sbalordiscono il visitatore: chi erano, cosa pensavano gli uomini che innalzarono queste poderose colonne, che ne coprirono ogni fregio di mosaici e d’oro?

Ore dieci, il colonnato si va lentamente riempiendo.

Ore undici, da viale della Conciliazione ora avanza una colonna disordinata di pellegrini, le facce assonnate di chi viene da lontano, e accenti diversi, lombardi, e stranieri. Undici e trenta, adesso in piazza San Pietro c’è tantissima gente con lo sguardo fisso a quella finestra, che aspetta. Sono venuti con i bambini, con i passeggini, con le coperte e gli zaini. Se ne stanno lì, zitti, pazienti.

Un giovane cronista di un giornale di sinistra intervista un signore sui cinquanta, in loden. Il cronista è gentile e insistente: che ne dice lei delle dimissioni? E Vatileaks, che effetto le ha fatto? Il signore, tetragono: di Vatileaks non mi frega niente, io sono qui per il Papa.

Ore dodici, quando Benedetto si affaccia e parla con quell’accento teutonico che abbiamo imparato ad amare, l’affetto e la commozione si toccano, fra noi che ce ne stavamo qui ad aspettare. Due gabbiani stridono, e pare una risata cattiva.

Ma il Papa insegna, una volta ancora, con poche rigorose parole; e si dice grato delle nostre preghiere. E noi ci si commuove; perché siamo venuti qui proprio come si va da un padre, quando, magari essendo lontani, al telefono, sentiamo nella sua voce una incrinatura che prima non c’era. Siamo venuti dentro a un bene molto grande, che abbraccia anche senza e prima di capire. Dentro a una fede che si fa fiducia: non sappiamo, ma siamo certi che Benedetto XVI vuole il bene della Chiesa. E alla benedizione con lui tracciamo su noi e sui figli bambini il segno della croce in un gesto lento, grande, pieno. E torniamo a casa sereni, nella stessa fermezza di Benedetto («Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura»).

8/2013

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2 commenti

  1. Simos

    Grazie, davvero, per averci guardato!

  2. Sorella Cri

    Grazie Marina, sempre grande, ti dico grazie oggi per tutte queste pagine che mi mettono sempre un misto di grata dolcezza e inquietudine dentro… fai pensare,,, ecco dev’essere questo. Anche i tuoi articoli sono sempre un po’ “oltre” e fanno bene. Buon lavoro e grazie, sorella cri

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