La “medaglia” di Frank

Di Emanuele Boffi
23 Gennaio 2003
Era il cronista del Mattino di Napoli. Scriveva verità scomode. Fu il primo giornalista querelato dal pool di Milano. Detto tutto su Mani Pulite? Per il soldato Cimini: “C’è di più, c’è di più”

Il Foglio ha cominciato, e condurrà fino alla fine di quest’anno, una rievocazione dei fatti del ’93, «l’anno più lungo della storia italiana», l’anno in cui «fu abrogata per via giudiziaria la vecchia e infragilita democrazia dei partiti» come ha scritto Giuliano Ferrara (Il Foglio, 13.01.03). Nella sua rubrica delle lettere sul Corriere della Sera Paolo Mieli è ritornato spesso sulle vicende di quel periodo. Mieli era direttore del quotidiano di via Solferino nell’aprile del ’94 quando, con un formidabile scoop, raccontò dell’avviso di garanzia al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi un giorno prima che gli fosse recapitato. I contorni di quella vicenda sono ancora per molti aspetti da definire ma, di fatto, fu proprio l’ex direttore del Corriere ad avere, sulle pagine di Tempi, un primo ripensamento di quel periodo (Tempi, 1 aprile ’98, ripresa allora anche da Panorama e l’Espresso).
Abbiamo chiesto a Frank Cimini, che lavora oggi per Ap Biscom e che in quegli anni era cronista de Il Mattino, di tornare su quelle vicende. Cimini faceva parte di quel ristretto “pool di giornalisti” che seguì da vicino le indagini della Procura di Milano.
Cimini, sono passati dieci anni da quel ’93 e si comincia a dire qualcosa di diverso.
Beh, meglio tardi che mai…
Nell’intervista a Tempi del ’98 Mieli dichiarò che la stampa aveva aiutato i magistrati, aveva teso un tranello a Berlusconi, si era intiepidita col successivo governo Prodi.
Ma c’è di più, c’è di più.
Prego.
È chiaro che la stampa usò i magistrati e che i magistrati usarono la stampa. Il problema è che, come ho detto in un’intervista a Sette qualche anno fa, e mi son preso pure una querela con il giornalista che mi ha intervistato…
Un attimo. Chi ha querelato chi?
Piercamillo Davigo ha querelato me e Michele Brambilla. Io per quel che avevo detto e lui perché l’aveva riportato. Ma ormai la vicenda è finita nel dimenticatoio.
Qual è la tua tesi su Tangentopoli?
Ci fu uno scambio. Chi erano e chi sono gli editori dei grandi giornali? Erano tutte persone che erano imputate e che si schierarono, come “aziende” diciamo, come nel caso della Fiat, dalla parte della Procura. In cambio ebbero l’impunità; sono ridicole le indagini che vennero fatte sull’azienda torinese, su De Benedetti, su Mediobanca, se confrontate con quello che successe dopo a Berlusconi. E Berlusconi è stato messo sotto torchio non in quanto imprenditore, perché i grandi industriali non l’hanno pagata, ma per quella sua “discesa in campo”. Se non fosse entrato in politica avrebbe ricevuto lo stesso trattamento di favore che hanno ricevuto gli imprenditori. La logica di Tangentopoli fu di salvare i grandi industriali e di farla pagare ai politici. E, per quel che riguarda le notizie…
C’era un accordo fra voi giornalisti e i magistrati di Milano?
No, non c’era bisogno. Era un accordo tacito e nella logica delle cose. Tutti i mezzi di informazione erano schierati, non si riusciva nemmeno a sollevare una qualunque obiezione. Nessuno si poneva domande, comprese le televisioni di Mediaset. Ancora oggi io non capisco certi atteggiamenti di esponenti di Forza Italia e di Alleanza Nazionale che distinguono in un periodo “buono” di Mani Pulite, fino al ’94, e in uno “cattivo”, dal ’94 in poi. Eh no! O è stato tutto “buono” o è stato tutto “cattivo”.
Cioè?
È stato tutto un errore fin dall’inizio. La logica che c’era dietro, l’utilizzo della carcerazione preventiva, il clima che si respirava…
Perché certi partiti ebbero un “trattamento di favore”?
I magistrati avevano bisogno di una sponda politica. Se avessero condotto le indagini che dovevano fare, se fossero arrivati ai vertici dei Ds, Occhetto e D’Alema, se tutto questo fosse avvenuto… io penso che in tre giorni avrebbero fatto l’amnistia e l’operazione sarebbe finita. Non è un caso che abbiano lasciato fuori quel partito la cui unica operazione di potere che gli era riuscita, da quando esisteva, era stata quella di inserirsi nella magistratura.
Quando hai iniziato a renderti conto di come andavano veramente le cose?
Ho iniziato a essere critico dopo che il povero Lorenzo Papi fu incarcerato.
Eri libero di raccontare quel che vedevi?
Io, purtroppo, ne sto ancora pagando le conseguenze. Lucibello mi insegue chiedendomi miliardi. Io ho solo una cosa che, a questo punto, è una medaglia. Era l’aprile del ’93; io fui il primo ad essere querelato da Di Pietro e dal pool per un articolo sulla Fiat dal titolo: “Latitante ripassi domani”. Era stata fatta una riunione nell’ufficio di Borrelli con gli avvocati di Romiti. Nonostante avessero ammesso alcune tangenti, Romiti non venne arrestato. Ma la vicenda grave non è questa, perché io sono sempre contento se uno non viene imprigionato. Non bisogna arrestare mai.
Allora qual era il problema?
Il problema è che, dopo quell’episodio, non vennero più fatte indagini sulla Fiat che era il motore principale del rapporto fra affari e politica in quegli anni. Quell’articolo mi costò una citazione in una causa civile che dura tuttora.
Quante medaglie hai collezionato?
Questa è quella di cui vado più fiero, perché sono stato il primo. Fino ad allora era impensabile che il pool potesse querelare un giornalista. Io sono stato il primo e purtroppo, dopo di me, è toccato a tanti altri.
Vuoi farmi credere che eri l’unica voce fuori dal coro?
Assolutamente no. Erano in tanti a capire ma, forse per mancanza di coraggio, non so, la verità è stata detta solo molto dopo. Certo, meglio tardi che mai.
E dopo la querela ti sei dato una calmata o hai continuato?
Sono sempre andato avanti. Certo, nei limiti del possibile.
In che senso?
Mi è andata abbastanza bene finché al Mattino rimase come direttore Pasquale Nonno, anche lui inquisito e con molti amici inquisiti. Chi può essere più garantista di un inquisito con amici inquisiti? Solo che dopo…
Solo che dopo…
Ad un certo punto Nonno lasciò Il Mattino e per me, con il nuovo direttore Sergio Zavoli, iniziarono i problemi.
Cioè? Non ti proteggevano più?
Non solo, non mi pubblicavano più i pezzi. La storia del miliardo di Sama al Pci, Il Mattino non me la pubblicò; uscì solo su La Gazzetta del Mezzogiorno. Era il dicembre del ’93, era un sabato e la domenica dopo c’era il ballottaggio a Napoli Bassolino-Mussolini. E così non mi pubblicarono la notizia che anche il Pci, per la defiscalizzazione di Enimont, aveva preso un miliardo, almeno così diceva Sama. E non me lo pubblicarono dicendomi, testualmente, che «avrebbe influito sul ballottaggio».
Scusa, non vorrei aggiungere una stelletta sulla tua divisa. Ho il permesso di scrivere tutto?
E perché? Mi sembra di essere stato nei limiti della decenza, no?

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