Che cosa c’è dietro alla guerriglia dei marocchini in centro a Bruxelles

Di Piero Vietti
29 Novembre 2022
I violenti scontri nella capitale belga dopo la vittoria del Marocco non c'entrano con il calcio, ma sono il sintomo del fallimento di un multiculturalismo che non riesce a integrare. Da quei quartieri partirono gli attentati islamisti in Europa
bruxelles marocco belgio guerriglia

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Scontri e guerriglia urbana a Bruxelles (e a Rotterdam) domenica pomeriggio, dopo che ai Mondiali in Qatar il Marocco ha battuto 2-0 il Belgio. Decine di tifosi marocchini sono scesi in strada per celebrare la storica vittoria della loro Nazionale, ma i festeggiamenti sono subito degenerati: vie del centro assaltate con bastoni, fuochi d’artificio e pietre da persone con il volto coperto che hanno appiccato incendi e distrutto semafori, arredo urbano, auto, motorini e monopattini. I tifosi hanno cercato lo scontro con le forze dell’ordine, intervenute per fermare i rivoltosi con idranti e gas lacrimogeni. Il sindaco di Bruxelles ha prima invitato i cittadini a non andare nei quartieri del centro e poi condannato i facinorosi.

L’odio dei marocchini nati a Bruxelles verso il Belgio

Una condanna che arriva con qualche decennio di ritardo, però: nella violenza dei tifosi marocchini (ma di nazionalità belga) c’era l’odio verso il paese in cui sono nati. Nelle stesse ore in cui la città europea veniva messa a fuoco, a Tangeri, in Marocco, i tifosi festeggiavano pacificamente. Non si tratta di scontri tra ultras, il calcio in questo caso non c’entra nulla, è una scusa per urlare qualcosa d’altro. Centro di Bruxelles vuol dire Molenbeek, il quartiere della dove sono stati organizzati gli attentati di Parigi e Bruxelles, il cui nome significa “piccolo Marocco”. Una zona della città affatto periferica piena di fondamentalisti islamici dove per anni i giovani venivano reclutati per il jihad e che si era trasformata in una società parallela.

Per capire di cosa stiamo parlando, basta rileggere questa intervista che Tempi fece qualche anno fa a Hind Fraihi, la giornalista musulmana belga che in un libro rivelò la verità sulla “capitale jihadista d’Europa”. Molenbeek, diceva, è «un’enclave musulmana con una vasta popolazione di origine marocchina. Tra i giovani mancava il lavoro e in pochi avevano una buona educazione. Sono tutti nati in Belgio ma allo stesso tempo sono lontani dalla nostra società. Non conoscono il Belgio, sono staccati dal paese in cui vivono, non sanno niente della politica […]. A Molenbeek si pensa che tutti i media occidentali siano venduti agli Stati Uniti o ai sionisti, non si fidano di nessuno. Non hanno neanche un amico belga e nelle scuole, dove sono tutti di origine marocchina, vivono tra di loro».

«Negli ultimi 20 anni abbiamo sbagliato tutto»

Difficile però trovare chi condanni questa situazione, «perché vige il politicamente corretto», diceva ancora Fraihi. «Bisogna sempre e solo esprimersi in modo positivo riguardo all’immigrazione. Ci sono tanti cliché sulla convivenza che non è mai un problema, e lo stesso vale per il multiculturalismo. Abbiamo negato che causasse dei problemi oppure li abbiamo declassificati a folklore. Non si è voluto capire e non si è voluto comprendere che il multiculturalismo non è innocuo».

Diceva nel 2016 a Tempi il senatore belga Alain Destexhe: «Voglio essere sincero: negli ultimi venti anni abbiamo sbagliato quasi tutto e non penso che si possa ripartire adesso». Il punto, spiegava, «è che non abbiamo mai integrato tutte le persone che abbiamo accolto. Abbiamo lasciato che si integrassero da soli, ma questo non è mai successo: ognuno continua a seguire cultura e tradizioni di origine. In vent’anni non abbiamo mai voluto guardare alle conseguenze delle nostre politiche immigratorie».

Non deve e non può stupire quindi che proprio nelle strade di Bruxelles si siano viste scene di guerriglia urbana portata avanti da chi, nato in Europa, dovrebbe sentirsi europeo e integrato e invece rivendica in modo violento e rabbioso la proprie radici. La formula abusata del “fallimento del multiculturalismo” non basta più a raccontare il disagio e la spaccatura sempre più presenti in tante città europee, soprattutto in quelle che si vantano di accogliere e integrare («Troppo tardi» per fare qualcosa, ripete chi conosce da dentro quelle situazioni). Le conseguenze di questo fallimento le abbiamo viste qualche anno fa con gli attentati nel cuore dell’Europa, organizzati proprio nel quartiere marocchino di Bruxelles, e in forma fortunatamente molto minore nelle violenze di domenica pomeriggio, per una partita di calcio. In attesa della prossima volta.

Foto Ansa

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