La giustizia cinese “funziona”: udienze lampo e colpevoli che confessano

Di Leone Grotti
13 Maggio 2011
Il 95% dei condannati in Cina confessa il reato, le condanne si basano sulle confessioni raccolte non dai magistrati ma dalla polizia, su 227 processi solo in uno è stato ascoltato un testimone, i due terzi delle udienze delle corti inferiori e un terzo di quelle intermedie durano meno di un’ora. Lo studio empirico di un professore di Hong Kong

Tutto si può dire sulla giustizia cinese tranne che non sia efficiente. I risultati del primo studio empirico indipendente mai fatto sulla sistema legale del paese comunista sono davvero interessanti. Dopo aver esaminato per 15 anni 1.144 casi nei tribunali di 13 distretti, intervistando 267 giudici, pubblici ministeri e avvocati, che hanno parlato mantenendo l’anonimato, Mike McConville, decano della facoltà di Giurisprudenza dell’università di Hong Kong, ha scoperto che il 95% degli imputati confessa il reato e le condanne si basano quasi esclusivamente su queste confessioni.

Il libro si chiama Giustizia criminale in Cina: un’indagine empirica e vuole valutare la situazione del sistema legale di Pechino, che l’autore non stenta a definire «davvero molto deludente». Su 227 processi, solo in 19 le accuse erano fondate sulle deposizioni di testimoni, solo in uno è stato ascoltato in tribunale un testimone. Le condanne vengono inflitte sulle base di confessioni che, nella maggior parte dei casi, vengono rilasciate alla polizia e non ai magistrati.

Molti avvocati hanno dichiarato che le confessioni vengono estorte agli imputati con la tortura ma non lo denunciano per paura che la pena venga aumentata ai loro clienti. Chi invece ha accusato pubblicamente la polizia, producendo prove, non è stato ascoltato o creduto. Un altro dato interessante che esce dallo studio è la grande rapidità dei processi: i due terzi delle udienze delle corti inferiori e un terzo di quelle intermedie durano meno di un’ora.

I giudici intervistati da McConville hanno rivelato che è la polizia a cercare le prove e a svolgere le indagini e per questo è più che naturale il sospetto espresso dall’autore che molte volte le prove possano essere inventate. Del resto, come riporta AsiaNews, nella storia della Cina non mancano casi clamorosi. Come quello di Teng Xingshan, che nel 1989 è stato giustiziato per aver “confessato“ l’assassinio di una donna, Shi Xiaorong, ricomparsa 16 anni dopo.

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