
Scritto con gli occhi
La gente come noi, non molla mai
Cari amici, inizio col dire che, da questa estate, la squadra di basket del Cantù mi sta proprio “sullo stomaco”! Cosa volete farci, da quando ci hanno eliminato ai playoff non li sopporto neanche un po’; voi mi direte che non è sportivo – ne sono consapevole -, ed infatti io non mi sono mai vantata di essere una sportiva, ma sempre di essere una tifosa. Quando è uscito il calendario delle partite e ho visto che la prima in casa era contro il Cantù, mi sono fregata le mani (per modo di dire, visto che non mi posso muovere), perché aspettavo questa sfida da tempo e meditavo vendetta.
Il mio amico Stefano Sardara, presidente della Dinamo, mi aveva detto che mi voleva alla prima di campionato in casa. Evvai che diamo loro una bella “pesta”! Un buffetto volevo darlo pure ai compagni di mio nipote Luca, che era stato preso in giro a scuola a causa mia. Il piccolo, infatti, aveva mostrato ai suoi coetanei la foto sul giornale della sottoscritta alla precedente partita e quelli l’avevano deriso, dicendogli che era “impossibile” che quella nella foto fossi io, sua zia. Ergo, ho pensato di portare Luca e il fratellino Marco alla partita. Sognavo la doppia rivincita: su Cantù e su quei discoli dei suoi amichetti che così non avrebbero più detto al mio nipotino che era un bugiardo perché conosceva me e, soprattutto, i giocatori e il presidente della Dinamo.
Bene, come le altre volte anche questa volta ho partecipato a mio modo al match. Perché, vedete amici, anche se non mi posso muovere, anche se non posso urlare per incitare i miei beniamini, questo non significa che non posso fare nulla. Anzi. In ogni cosa – fidatevi – un malato di Sla può partecipare con tutto se stesso, forse anche con maggior trasporto di quanto possa fare ognuno di voi. La consapevolezza dei propri limiti può essere la nostra tomba (se ci deprimiamo e rimaniamo inerti), oppure lo sprone per “andare oltre”. E, secondo voi, qual è il mio atteggiamento? Esatto. Facciamogliela vedere a questi canturini!
Prima che iniziasse la partita, accompagnato da Stefano, il “mio capitano” Manuel Vannuzzo è venuto a salutarmi a bordo campo. Così ne ho approfittato per chiedergli due cose:
1) vincete per me
2) fai un canestro per me (uno mi basta, mica voglio fare la “sfacciata”).
Manuel mi ha risposto:
1) ci proviamo
2) contaci! (in verità, poiché ha giocato poco a causa di un infortunio, non ha potuto tenere fede alla promessa. Poco male, si rifarà la prossima volta. Però, Manuel, non pensare che me ne dimentichi: mi devi un canestro).
All’inizio “buttava male”. Il Cantù ci ha messo sotto. Il nostro canestro sembrava stregato, come se si fosse ridotto a una “buca da golf”; la palla non ne voleva sapere di entrare. Così io e l’allenatore Meo Sacchetti – sì, pure io, anche se senza voce – abbiamo chiesto il time out e abbiamo “strigliato” per bene i ragazzi. Non so cosa abbia detto loro Meo, ma il mio intervento è stato fondamentale: ho spiegato loro che non potevano deludermi, e che se ero lì era per vederli vincere, mica ero il “portafortuna” del Cantù! E poi ho detto che a giocare a basket in quella maniera ero buona pure io che sono “imprigionata” nel mio corpo (lo so, a volte sono un po’ dura coi miei, ma era solo per incitarli a fare meglio). Comunque, devo dire che la ramanzina è servita. Sono ritornati in campo e hanno fatto il loro dovere. Il canestro da “buca di golf” si è trasformato in un “campo di calcio”, e i punti si susseguivano uno dietro l’altro.
Così, con l’aplomb che mi contraddistingue, vorrei fare un’analisi distaccata e obiettiva di cosa abbiamo fatto a quelli del Cantù. Li abbiamo:
maciullati
asfaltati
massacrati
pestati
Insomma, abbiamo vinto. D’altronde, con la Susy in campo la Dinamo non ha mai perso (3 vittorie su 3, amici, mica pizza e fichi).
È stata una bella emozione e questo mi ha fatto riflettere e mi incoraggia a darvi un consiglio non richiesto. Vedete, io vorrei poter fare tutto quello che fate voi, una qualsiasi cosa, anche la più stupida, quella a cui nessuno di voi dà peso. Incitare la mia squadra, sventolare una bandiera, bere un bicchiere d’acqua con le mie mani. Però io, come tutti i miei compagni di Sla, non posso. Però quel che posso fare è non rinunciare alla vita e alle sue gioie e richiamarvi a non essere superficiali. La vita è “per noi”, amici. Non rinunciamo a questo dono. Quei ragazzi in campo correvano per me, facevano canestro per me, si battevano (sportivamente) per me. Io non sono sola perché non voglio essere sola, e insieme a tutti voi posso formare una “squadra vincente” contro tutto ciò che ci affligge.
Arrendersi è già una sconfitta. Invece, «la gente come noi – come c’era scritto su uno striscione – non molla mai» (e tu Manuel, ricordati: il prossimo canestro è per me).
Bacioni,
Susanna
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2 commenti
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che strano nome meo sacchetti
😀
Risponde Susanna Campus: si! io “voglio” che i miei ragazzi vincano per me! è in gamba il nostro Meo! lo proporrei per la nazionale, ma… dopo che si “stanca” di noi!!! ti abbraccio susanna
FAntastica Susy, meglio non rischiare !! beso ;D
Risponde Susanna: dobbiamo vincere nella vita e… nello sport, e la mia dinamo non può DELUDERMI!!! ti abbraccio susanna