
La fine del mondo, il futuro impersonale della scienza e il presente della ragione

Boualem Sansal, classe 1949, è uno scrittore algerino; in Francia è appena uscito il suo romanzo 2084. La fin du monde (Gallimard), che richiama esplicitamente il celeberrimo romanzo di George Orwell 1984, solo che qui il mondo evocato non è un totalitarismo ateo, ma la dittatura religiosa di Abistan, così chiamata da Abi, il delegato terreno dell’unico dio Yolah: unica lingua ammessa l’Abilang, nove preghiere quotidiane obbligatorie, polizia religiosa, donne coperte dai burniqabi, esecuzioni pedagogiche e così via. Non manca neppure l’assassinio dell’archeologo Nas, colpevole di aver ricercato e scoperto le tracce di un’antica civiltà che doveva restare sepolta.
Intervistato da Corriere della Sera del 21 agosto scorso, alla giornalista Elisabetta Rosaspina, che gli chiede se il suo sogno sia un mondo totalmente laico, Sansal risponde: «Volere che il mondo sia quel che noi vogliamo significa voler controllare la vita, e dunque distruggerla». Lo scrittore algerino prosegue constatando che «la democrazia e la laicità non bastano evidentemente per garantire una convivenza intelligente», e conclude con questo auspicio: «Forse la scienza ci darà un giorno i mezzi per guarire dalla nostra follia».
Tralasciando per un momento la sua previsione, colpisce l’analogia tra l’affermazione di Sansal e un brano famoso del grande romanzo di Vasilij Grossman, Vita e destino.
Il comandante Liss chiama Michajl Sidorovic, vecchio bolscevico prigioniero in un lager nazista, e gli dice: «Quando ci guardiamo in faccia l’un l’altro, noi guardiamo uno specchio. Questa è la tragedia dell’epoca. Forse che voi non riconoscete voi stessi, la vostra volontà, in noi? Forse che per voi il mondo non è la vostra volontà; forse che qualcosa può farvi esitare o fermare?».
Quando Benedetto XVI parlò di ecologia umana davanti ai parlamentari tedeschi (22.9.2011) disse: «L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana».
Questa enfasi della volontà, e il contemporaneo rifiuto di una natura data, tocca oggi la concezione e la pratica umana nei suoi dinamismi essenziali – affettivi (il gender) e generativi (tecniche procreative e anti-procreative) – in vista di una ridefinizione culturale, politica e giuridica dei rapporti sociali fondamentali, agendo sulle dinamiche relazionali costitutive della persona: anima-corpo, uomo-donna, individuo-società.
Sempre nello stesso discorso, Benedetto XVI osservava: «Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio».
Non il futuro ipotetico e impersonale della scienza potrà restituire all’uomo la dignità della sua natura, ma il presente della ragione, nell’umile evidenza della sua dipendenza originale: l’uomo non è artefice di se stesso, né può vivere senza aria, senza cibo, senza amici, senza Dio.
Un’evidenza di cui non ha senso vergognarsi.
Foto da Shutterstock
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