
La farsa del 25 aprile antifascista nel nome di Scurati

Il censuratissimo e proibitissimo monologo di Antonio Scurati mi echeggia nel cervello e mi si irradia negli occhi. C’è la Bortone che lo declama in tv, mettendo ben evidente il suo smartphone a beneficio di videocamera mentre legge il “dono” e mentre per iscritto è rimandato ovunque. Una cura Ludovico di spicciolo e notarile antifascismo e di antimelonismo da bacio Perugina.
Il censuratissimo e proibitissimo monologo di Antonio Scurati, autentico Necronomicon della coscienza civile antifascista, lo pubblicano i giornali, i siti web, i blog.
Il censuratissimo monologo di Scurati e il crepuscolo di Weimar
Il censuratissimo monologo di Scurati lo evocano e lo invocano gli scrittori socialmente consapevoli che nella curva che va da Lagioia alla Lipperini si sono svegliati credendo di essere al crepuscolo di Weimar e invece sono sempre nelle loro redazioni autorerefenziali dove lanciano petizioni che firmano loro, appelli e allarmi che preoccupano loro, recensiscono libri che poi gira e rigira sono sempre i loro, si invitano a vicenda a presentare l’uno il libro dell’altro. Tutti libri meravigliosi, incredibili, unici, Proust e Joyce andate a zappare i campi davanti al Circle Jerks della professione intellettuale italica da gauche caviar.
Il censuratissimo monologo lo citano i politici, per le loro spicciole polemiche. Gli economisti, ora che Mes e Pnrr hanno rotto le palle. Persino gli studenti lo intonano prima delle lezioni universitarie. Dismesse le tende e accantonati, si immagina per poco tempo, gli slogan pro-Hamas, il monologo di Scurati diventa la causa celebre di una parte politica che da Ferie d’Agosto in poi vive i propri rituali di autocoscienza oscillando tra tragedia e farsa. Sempre più spesso solo farsa.
Uno strumento di autopromozione di scrittori e intellettuali
Il censuratissimo e proibitissimo monologo di Scurati è divenuto privilegiato strumento di autopromozione di tutta una serie di scrittori e intellettuali (si possono volendo aggiungere virgolette a piacimento, a entrambi i termini) che avendo il sudato frutto delle loro menti in uscita, che sia un libro o una fiction, pensano bene anche loro di gettarsi a corpo morto nel ventilatore accelerato dell’hype mediatico.
D’altronde anche Serena Bortone ha un libro fresco fresco di stampa. A te vicino così dolce, edito da Rizzoli e del quale proprio in questi giorni, mentre le si va rafforzando l’aura da Giovanna d’Arco della resistenza antifascista interna all’EIAR, pardon, alla Rai, va a far presentazioni per lo Stivale.
Rizzoli pubblica peraltro un altro immancabile capolavoro dell’impegno sociale e dossieristico antifascista del sempre presente Berizzi, il quale da par suo surfando sulle onde del sempiterno pericolo fascista in assenza di fascismo, richiamato dagli strilloni già contro Berlusconi, contro Fini, ora contro la Meloni, ci compone sotto gli occhi il certamente struggente Il ritorno della bestia e lo condisce con quel pizzico, giusto un pizzico, di retorica che non guasta mai: «In tutte le librerie antifasciste! Ecco chi leggerà e chi NON leggerà», con emoticon a faccina rovesciata. Un libro edito da Rizzoli. In tutte le librerie antifasciste. Rizzoli. Manco fosse un samizdat.
Ed è subito refrain: «Anche io sono stato censurato»
Nadia Terranova ci tiene a far sapere che anche a lei hanno cancellato un monologo. Quello sui manganelli pisani. Dopo i Canti pisani di Pound, abbiamo i manganelli pisani della Terranova. Censura. Orrida censura.
Poi arriva Jennifer Guerra, e se non sapete chi sia non vi preoccupate, è normale. Jennifer Guerra è stata censurata come Scurati. Pure lei. Un’ospitata in Rai che poi alla fine è saltata e che ora, retrospettivamente, dopo il caso Scurati le fa sorgere il pensiero di essere stata censurata. Anche Jennifer Guerra ha, per puro caso, un libro uscito da pochissimo, Il femminismo non è un brand, per Einaudi. Il femminismo non lo sarà, un brand, ma questa censura tanto presunta e plurimamente sbandierata ormai un po’ lo è.
Il censuratissimo e proibitissimo monologo di Antonio Scurati fa provare il gelido brivido dell’invidia a chi pur ritenendosi parimenti censurato non ha potuto godere, così dice lui, di battage di pari intensità. Guardate Saviano. È corso subito a rimarcare il solito refrain «anche io sono stato censurato, escluso, cacciato, silenziato». La mia censura è più lunga della tua, in pratica.
Il monologo di Scurati e il brand antifascista
Scurati non è Piero Calamandrei. Scurati non è Beppe Fenoglio. Scurati non è Cesare Pavese. Antonio Scurati è un onesto scrittore di qualche talento cui è arriso un enorme, per gli asfittici standard del mercato editoriale, successo dopo aver centrato l’obiettivo coi suoi romanzi mussoliniani. Scurati non è nemmeno Renzo De Felice. Perché quando Galli della Loggia gli fece rilevare una serie di imprecisioni storiche, Scurati se la cavò con la santificante vulgata della creatività romanzesca e della licenza poetica.
E in effetti i suoi sono romanzi. Opere di fantasia. Che possono pure avere un fondamento storico ma che del pari nessuno dovrebbe caricare di eccessiva valenza intellettuale. Potete scommettere che molti dei lettori della serie scuratiana su Mussolini, riposto a sera il libro di turno sul comodino, coricatisi dopo una lunga giornata di lavoro, poi alle elezioni siano andati a votare per la Meloni. Come avvenuto alle Politiche. In Abruzzo. In Basilicata. E via dicendo.
Quelli interessati al fascismo se ne fregano del pericolo fascista
Il successo della serie, inutile dirlo, è tutto inciso nel marmo di quella M. Di quella esperienza storica cui si continua a guardare con spirito da tifo calcistico e con fideistiche e granitiche certezze. Ma quelli che tradiscono ampio interesse per le gesta mussoliniane e per il fascismo, se ne fregano, per usare lessico dell’epoca, del pericolo fascista perché sanno che non esiste. E che se proprio vogliamo andare a scartabellare nelle privazioni recenti delle libertà, bè, non le hanno imposte e realizzate gli eredi, veri o presunti, di quella tradizione politica.
La paccottiglia nostalgica venduta nei negozi della fascisteria predappina è solo l’altro lato di una medaglia che si porta dietro una serie mitografica di assoluti e di dogmi sulla Resistenza che in genere saltano fuori quando al governo c’è la destra. Negli anni Novanta, con Berlusconi e Alleanza Nazionale al governo, il 25 aprile e poi pure il primo maggio diventavano teatro revanscista per lenire il peso della sconfitta politica.
Memoria storica come clava politica
Mentre annoto alcuni pensieri, sono in un quartiere romano, popoloso di universitari. Le mura cittadine sono tappezzate di manifesti che recitano “la lotta partigiana è stata una lotta per il comunismo”. C’è stata, c’è ancora una vasta parte della sinistra italiana che agita l’antifascismo come clava, non come valore. E usa la memoria storica, di parte, come strumento di lotta. Hanno coniato il buffo slogan “il 25 aprile è divisivo solo se sei fascista”, ma in realtà i primi a volere, a pretendere un 25 aprile divisivo sono loro. Perché in quella divisione c’è la loro stessa, profonda ragion d’essere. La ragione vitale di chi ha sempre considerato tutti gli altri, socialisti, cattolici, liberali, adesso pure gli ebrei con la loro Brigata, tutto sommato dei fascisti con cui si ha poco a che spartire.
Non sono più quelli del mito della Resistenza tradita, nel cui nome si fecero morti e feriti, dalla Volante Rossa alle Brigate altrettanto rosse, ma sono i padroni della soglia dei salottini buoni, quelli che elargiscono patenti di legittimazione democratica e di rispettabilità politica e per quanto tu possa andare loro incontro, non ti accetteranno mai. Mai. D’altronde questo caos innescato dal monologo censurato ardeva sotto le ceneri di uno scivolare lento e pacioso verso il 25 aprile. In attesa del casus belli, che poi un solerte funzionario Rai ha confezionato maldestramente.
Il monologo di Scurati e il dramma della destra di governo
Non c’è altro. Non ci sono verità nascoste e indicibili in quelle parole ormai leggibili ovunque. Parliamoci chiaro, quel monologo, il censuratissimo e proibitissimo monologo di Scurati, è un prodottino modesto assai che si spezza con un salto logico per arrivare al saliente del colpo di maglio inferto all’attuale governo.
Una cosa abbastanza arida e grigia che fosse stata recitata in tv non se la sarebbe filata nessuno, come è giusto che sia. Perché uno degli aspetti più grotteschi della censura, volontaria o meramente fattuale che essa sia, è proprio il divenire leva moltiplicatrice dell’interesse morboso per qualcosa che in altre condizioni nessuno si sarebbe filato.
E qui si cela il vero dramma della destra di governo, ritrovatasi al centro di un patatrac più grande di lei, figlio di uno zelo burocratico più realista del Re e di un cortocircuito nel modo di gestire comunicativamente la slavina. La Meloni, che dicono furiosa, si è circondata di personaggi sovente improbabili. Persino alcuni parlamentari continuano a rinverdire la fiamma del dibattito e della polemica mentre dovrebbero far su di essa calare solo un glaciale silenzio, tacendo essi stessi per primi.
Niente, non ce la fanno. Vanno in ordine sparso, a pontificare, a dire cose spesso scoordinate le une dalle altre, alimentando ancora di più il caso. Nutrendo l’ego dei loro oppositori e rimpolpando i conti in banca di questi.
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