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I figli se ne sono andati, la grande casa è vuota e mi fa un po’ di paura. In soggiorno c’è sempre quella tua grande foto in cornice, papà – caduta, riparata, ricaduta, risistemata da me, con ostinazione. Entro in casa e sulla mia destra, su un tavolino di ottone, eccoti.
Qui eri ancora giovane, e io bambina. Faccia da tosto, faccia da uno che affronta il mondo intero. Eri seduto su un aereo che ti portava chissà dove, Vietnam, Congo, o la Praga dei carri armati, in un eterno e per me confuso “lontano”. Doveva essere una partenza brusca, a giudicare da come tiravi avidamente quel mozzicone di Nazionale – i pacchetti verde con la caravella, “senza”, due al giorno.
Ancora una volta andavi a inseguire la guerra. Ti si era stampata addosso in Russia, sul Don, con gli alpini, come un marchio. Tornata la pace, inviato del Corriere, la guerra hai continuato a inseguirla.
Che cosa strana: non ti era bastato l’infinito marciare nella neve sul Don, voi congelati, miserabili, persi? Epp...
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