La dittatura dello scaffale

Di Inversetti Elena
06 Settembre 2007
Ogni giorno 145 titoli nuovi, ma il grosso del fatturato viene da un pugno di libri. Chi e come decide quali saranno i "cavalli vincenti" in Italia?

Se in Italia vuoi dedicarti alla lettura devi chiedere il permesso a quattro persone: Gian Arturo Ferrari, direttore della divisione libri Mondadori, Giulio Lattanzi, direttore dell’area libri di Rcs mediagroup e amministratore delegato della divisione libri del gruppo, Stefano Mauri, presidente del Gruppo editoriale Mauri Spagnol e Carlo Feltrinelli, presidente della holding Effe 2005 – Finanziaria Feltrinelli spa che controlla Librerie Feltrinelli e Giangiacomo Feltrinelli editore. Sono questi signori i padroni dell’editoria libraria italiana, coloro che tengono in mano le redini del mercato – parliamo soprattutto di varia – del nostro paese. E che con le loro produzioni monopolizzano la stragrande maggioranza delle presenze sugli scaffali e nelle vetrine delle librerie. Favorendo il proliferare delle “pigne” delle ultime uscite, sempre le stesse, che campeggiano all’entrata di molti rivenditori.
Per accorgersene basta farsi un giro nelle librerie indipendenti, ma anche – e soprattutto – negli innumerevoli punti vendita della cosiddetta gdo, la grande distribuzione organizzata. «L’editoria è un mercato a punteggio alto. Se nel calcio, uno sport a punteggio basso, può vincere anche la squadra più debole per un singolo episodio, nell’editoria è come nel basket: vince la squadra più forte». Così Gian Arturo Ferrari, che nel corso dell’ultima edizione della Fiera del Libro di Torino ha decretato di fatto l’esistenza di una “dittatura dello scaffale”. Ma la questione si può davvero ridurre in termini così semplicistici? Per capirlo occorre, guarda caso, uscire dalle librerie e bussare alla porta di alcuni editori che soli possono fornire (in modo rigorosamente anonimo) gli elementi per fotografare nitidamente la situazione “dietro agli scaffali”.
Sul territorio nazionale ci sono 7.739 editori, secondo l’ultimo dato aggiornato dell’Associazione italiana editori (Aie). Ogni anno vengono pubblicati circa 53 mila titoli di cui circa il 64 per cento è costituito da novità. Questo significa che ogni giorno vengono immessi sul mercato la bellezza di 145 titoli. Un’enormità. Eppure, nell’ultimo anno, soltanto il 12 per cento ha realizzato l’80 per cento del fatturato. Mentre in libreria mediamente il 30 per cento dei libri rimane invenduto.
Ma il mercato come è ripartito? La fetta più grossa della torta, ossia il 28 per cento, è appannaggio del gruppo editoriale Arnoldo Mondadori, che comprende Edizioni Mondadori, Einaudi, Edizioni EL, Electa, Sperling&Kupfer, Frassinelli, Piemme, Geo Mondadori, Mondadori Illustrati, Edumond Le Monnier, Harlequin, Random House, eBook. Un altro 12,4 per cento se lo aggiudica il gruppo Rcs, composto da Rizzoli, Bompiani, Fabbri, Marsilio, Skira, Flammarion, Sonzogno, Etas e Adelphi, mentre l’8,4 per cento è di Gems, che sta per Gruppo editoriale Mauri Spagnol e che raggruppa Longanesi, Corbaccio, Garzanti libri, Guanda, Nord, Ponte delle Grazie, Tea, Salani, Vallardi e Superpocket. Feltrinelli è presente invece con il 4 per cento, mentre in coda si posizionano nell’ordine: De Agostini, Giunti, Laterza e Il Mulino. Alla fine, l’indifferenziato dei piccoli editori si spartisce poco più del restante 40 per cento.

All’origine della filiera
I numeri, però, seppur indicativi, non bastano a cogliere con precisione nel segno. Come si compongano davvero i centri di potere lo si può capire solo analizzando la ripartizione della filiera. Tocca allora percorrerla tutta, dalla produzione alla distribuzione fino alla vendita, per raccapezzarsi un po’. I nomi sono i soliti, ma l’ordine di “potere” cambia. «Il padrone incontrastato è la famiglia Mauri, ossia il gruppo Gems, una holding in grado di controllare tutti i punti della filiera». Cosa possiede? «Messaggerie libri e periodici, il più importante distributore nazionale di prodotti editoriali che raggruppa oltre 150 editori e coinvolge circa 4 mila punti vendita; Opportunity book, che gestisce il 30 per cento della distribuzione nazionale per la gdo; la Scuola per Librai di Venezia; Fastbook, uno dei maggiori grossisti; Ibs, ossia Internet BookShop, il maggiore venditore di prodotti editoriali on line». E a proposito del canale internet «che sia un mezzo democratico e che costi meno sono tutte castronerie. Il canale diretto costa, perché la tariffa di evasione è micidiale, perciò può essere gestito soltanto da economie che hanno alti valori di scala. Ibs fa 16 milioni di euro compresi anche cd e dvd. Pochissimo. Rappresenta l’1 per cento del mercato. Il secondo canale di vendita diretta è Bol, in mano a Mondadori, che nacque alla fine degli anni Novanta come alternativa ad Amazon, ma fu un fiasco, con un miliardo di euro di perdita. È rimasto aperto solo per la Cina e per l’Italia dove fa gioco grazie all’immagine di Mondadori».
Quest’ultima con Rizzoli, oltre a gestire direttamente la propria distribuzione nelle librerie e catene librarie, assieme a De Agostini possiede Mach 2, il distributore che gestisce il restante 70 per cento della distribuzione per la gdo, servendo circa 2.500 punti vendita sul territorio nazionale, dalle catene come Auchan, Carrefour, Esselunga, Conad, Standa, Bennet, Autogrill, Blockbuster, Coop (che sta aprendo punti vendita specializzati nel prodotto libro mantenendo per ora un’espansione a livello regionale) ad aeroporti e grandi superfici specializzate. Un canale quello della gdo «che per sua stessa vocazione vede nel libro unicamente la funzione strumentale di un prodotto che deve essere venduto a più persone possibili e a prezzi concorrenziali. Questa soluzione ha un peso dominante all’interno del mercato in forza dello sconfinato potere contrattuale che esercita nei confronti degli editori, grazie a tre fattori: la disintermediazione, ossia la possibilità di acquistare il più vicino possibile al produttore, la esternalizzazione, ossia la possibilità di far gestire a terzi fungendo da locatori di spazi commerciali interni al layout tradizionale, e la massificazione, pochi titoli ad alta rotazione».

Una torta per quattro
Il nostro viaggio lungo i canali della filiera ci riporta alla fine proprio in libreria. Dove domina lo strapotere delle catene «che intermediano il 50 per cento del mercato non funzionale o didattico e che sono tutte legate a sigle editoriali». La prima (quella che si mangia la fetta più grande della torta) è Mondadori, che divide le proprie librerie in multicenter e in franchising in cui vengono comprese tutte le librerie un tempo indipendenti che, entrate in crisi, sono state acquistate dal gruppo. Al secondo posto una new entry: le librerie Feltrinelli che non vanno però confuse con la casa editrice che è autonoma per quanto riguarda la promozione, mentre per la distribuzione si appoggia a Messaggerie libri.
Feltrinelli Librerie pur comparendo nell’ultimo segmento della filiera vi interviene a gamba tesa «detenendo circa il 30 per cento del mercato, arrivando al 50 in particolare per la saggistica di fascia alta, e rappresentando un punto vendita quasi obbligato per molti editori, per alcuni dei quali costituisce addirittura il 40 per cento del fatturato. Di fatto detta legge. E si fa pagare. Arrivando a imporre anche il 50 per cento di sconto sul prezzo di copertina. Mentre quando sono nati, i punti vendita Feltrinelli si sono proposti come librerie di qualità. Oggi invece assistiamo a un progressivo assottigliamento dell’assortimento, ossia della varietà di titoli. E il risultato è stato che si sono raddoppiati gli special order. Da un punto di vista più globale del mercato, poi, l’ascesa delle librerie Feltrinelli ha accelerato per esempio l’entrata nel settore della Fnac che però, per fortuna, non ha avuto successo in Italia. Mentre Mondadori franchising si è messa in guardia accelerando la propria scalata, soprattutto da quando Feltrinelli, partendo da Ricordi, ha comprato tutte le librerie della Rizzoli, che oggi mantiene solo Libreria Rizzoli Galleria a Milano».
All’appello manca ancora un nome: Giunti al Punto, la catena della casa editrice fiorentina, fortemente monomarchio e in continua crescita. Cosa si deduce alla fine di tutto questo sgranar di nomi e di percentuali? La privatizzazione di fatto della filiera che risulta in mano a poche – e nello specifico quattro – sigle editoriali. Mentre non si contano gli estinti e i fagocitati. «Esiste infatti una divaricazione preoccupante tra i grandi e i piccoli editori, mentre i medi sono praticamente scomparsi. Qualche esempio? Utet non esiste più se non come sigla, stessa cosa per Garzanti, Bruno Mondadori e Paravia, uniti in Paramond sono stati acquistati da Pearson, Cedam è stata acquistata da Ipsoa, ovvero da Kluwer, il 40 per cento di Giuffrè è di Read Elsevier».

La garanzia del mass market
Tutti a denti stretti e a braccia conserte allora? A lamentarsi che tanto il mercato è fatto così ed è naturale che si determini un certo tipo di assortimento? E che è il pubblico che decreta il successo di un libro? Ma siamo proprio sicuri? E se invece si ribaltasse la prospettiva? Pensando cioè che «è il mercato stesso a venire forzato dall’interno degli argini definiti dagli assetti dei canali produttivi e distributivi. In sostanza è l’offerta che determina in larga misura la domanda. Un’offerta che, per come si sono sviluppati gli assetti, può essere opportunamente selezionata da chi tiene le redini dei canali stessi nei nodi cruciali della filiera. Non è perciò il mercato che determina l’esposizione, bensì è l’esposizione a determinare il mercato».
Un mercato che così strutturato favorisce la promozione e la diffusione di prodotti di mass market, senza tuttavia incidere in modo positivo sugli indici di lettura per i quali rimaniamo a languire agli ultimi posti della classifica fra i paesi sviluppati. «Siamo spettatori di una deriva, che si può definire culturale, che si autoalimenta e che ha scatenato un circolo vizioso per il quale progressivamente vengono espulsi, o ridimensionati, i prodotti non di mass market. Oggi infatti due sono i criteri base per i quali i libri compaiono sugli scaffali e in base ai quali prima i distributori, per mezzo dei promotori, e poi i librai selezionano i titoli: le condizioni di acquisto e la rotazione». Un meccanismo che pecca in realismo. Certamente il libro, di qualunque fregio culturale si lustri, rimane pur sempre un prodotto che risponde a determinate leggi di mercato, tuttavia esso fa parte di un settore particolare in cui il grosso del mercato è rappresentato da lettori forti di fascia alta che richiedono un ricco assortimento.
Oggi questa domanda rimane in gran parte inevasa. «Molta editoria italiana infatti è incapace di modulare il proprio prodotto in relazione al segmento di mercato cui si riferisce. Grave errore che si può risolvere solo se si smette di credere in un’editoria a cui per vivere basta reggersi sul sistema organizzativo e distributivo». Ma allora, nonostante il vigente regime di oligopolio, per il libro si può auspicare un “destino buono” o si andrà avanti a “pigne”? «Forse la speranza è che per garantire la libertà di scelta dei consumatori i piccoli, gli indipendenti, si diano una mossa. In Italia c’è tanta provincia. Bisogna dunque individuare meccanismi di possibile editoria indipendente. Adesso invece molti si fanno comprare oppure vendono i diritti degli autori da loro scoperti che poi una volta entrati nei grandi gruppi fanno successo».

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