La devolution è per l’unità d’Italia

Di Roberto Formigoni
12 Aprile 2001
Il federalismo non può essere una concessione dall’alto ma deve partire dal cittadino. Il referendum sulla devolution prosegue schivando i paletti del Governo. Il presidente della Regione Lombardia denuncia i (costosi) capricci di chi gli vuol male

Il referendum sulla devolution faceva parte del nostro programma elettorale, era un impegno assunto con gli elettori, ed é qualcosa in cui crediamo: attivare il federalismo gradualmente, per trasferimento di poteri dallo Stato alle Regioni. Cominciando da sanità e istruzione, delle quali chiediamo il trasferimento completo delle competenze, e dalla compartecipazione di alcune responsabilità nel campo dell’ordine pubblico e della sicurezza, per esempio chiediamo il potere per il Presidente di Regione di convocare la conferenza regionale di Prefetti e Questori e di decidere insieme al ministero degli Interni le quote degli immigrati. La via del referendum popolare è la più giusta. Il federalismo non può essere una concessione dall’alto; è una costruzione dal basso con la partecipazione del cittadino. La Corte costituzionale ha validato la nostra impostazione e ha respinto la richiesta di sospensiva del governo. Si può costruire la devoluzione senza pregiudizio dell’unità nazionale. Il referendum è un primo passo: se vinceranno i sì, aprirò una trattativa col governo, qualunque esso sia, per il trasferimento delle competenze e delle relative linee di bilancio. Oggi comincia la Lombardia, domani potrà essere un’altra Regione. Il federalismo va attuato gradualmente e in modo differenziato, e noi vogliamo esaltare le specificità, non favorire i più ricchi. La vicenda della data e dei seggi dimostra la meschinità della nostra controparte politica. Il Governo e il centrosinistra speravano che la Corte costituzionale gli levasse le castagne dal fuoco, ma il ricorso governativo era molto debole e giustamente è stato respinto. Sconfitto, ha cercato di mettere i bastoni fra le ruote, ma devo ricordare che ho fissato il referendum non per un capriccio personale, ma su disposizione del Consiglio regionale, organo democratico di rappresentanza di 9 milioni di cittadini lombardi, e ho seguito la legge che mi imponeva di varare un decreto entro la data massima del 28 febbraio. In quel momento ho scelto la data indicando la domenica che coincideva con le elezioni politiche, sostenuto dal parere dei presidenti delle Corti d’appello di Milano e di Brescia che sovrintendono alle operazioni elettorali lombarde. Hanno approvato la mia scelta del 13 maggio sottolineando il risparmio di tempo per i cittadini e di denaro per le casse pubbliche. Il governo prima ha cercato di impedire il voto il 13 maggio, poi si è accanito con questo capriccio delle nuove aule, nuove sedi, nuovi scrutatori, che costerebbe ai cittadini 50 miliardi in più. Se ce li faranno spendere, la Regione Lombardia potrebbe citarli di fronte alla Corte dei Conti per lo sperpero, e i costituzionalisti dicono che avremmo forti probabilità di vincere la causa. Con questo capriccio il governo si è scelto la posizione di controparte rispetto alla Regione Lombardia, contrapponendo un pezzo dello Stato a un altro pezzo dello Stato, anziché assumere una posizione di responsabilità.

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