
La crisi in Ucraina e “l’opzione Francesco”

«Solo il Papa potrebbe chiedere un atto di sincera e buona volontà», ha detto al Fatto quotidiano l’ambasciatore Sergio Romano. Romano – che nella giornata di ieri ha rilasciato anche un’intervista al Riformista – è un grande esperto di politica russa per essere stato ambasciatore presso la Nato e ambasciatore a Mosca (1985-1989) nell’allora Unione Sovietica. Sull’orso russo ha scritto poi diversi libri (l’ultimo è Il suicido dell’Urss).
Tutto poi è precipitato velocemente con l’invasione russa, ma è utile tornare sulle parole del diplomatico per comprendere il punto di vista di Vladimir Putin, indicando una possibile soluzione per uscire dalla crisi.
Il ruolo della Nato
Il primo fattore da comprendere è “chi è” e “cosa vuole” il presidente russo. Egli, dopo la disgregazione dell’Urss, spiegava Romano, vuole restituire al paese «quell’autorevolezza che aveva conquistato in passato. E questo significa recuperare una posizione eminente nella sua regione naturale, che è quella dell’Europa centro-orientale». Se questo è l’obiettivo, è chiaro che il fatto di ritrovarsi Paesi alleati alla Nato sul confine non possa lasciarlo indifferente. Diceva Romano: «Aver avanzato con gli insediamenti Nato nell’area dell’ex Urss ha mortificato l’orgoglio russo e in qualche modo sollecita una risposta».
Il fatto è che, al termine della Guerra fredda, anche la Nato andava ripensata: «Era una struttura nata al tempo della contrapposizione col Patto di Varsavia. Collassato quest’ultimo non aveva senso tenere in piedi un assetto militare che sarebbe stato visto come struttura di pura aggressione».
Ucraina Stato neutrale
Invece, lamentava Romano, anziché “smobilitare la Nato”, si è fatto il contrario: «Non solo non l’abbiamo trasformata, rimodulata, aggiornata, ma abbiamo pensato possibile che al confine con Mosca l’Occidente potesse puntare i cannoni e tenere lo zar sotto tiro».
Un errore da matita blu: «Dobbiamo sforzarci di valutare con equilibrio la situazione. Come ci sarebbe parso se la struttura militare del mondo che si contrappone a noi avesse messo radici in Svizzera, a un tiro di schioppo da Milano? Sarebbe o no stata destabilizzante questa situazione?». Per questo, concludeva il ragionamento Romano, l’unica soluzione è far diventare e considerare l’Ucraina come una sorte di Svizzera, uno stato neutrale. Opzione che ora, dopo l’intervento muscolare russo, si fa più difficile, se non utopica.
Putin e Biden
Nelle ore precedenti l’invasione, Romano si mostrava molto preoccupato. Come tutti, avvertiva il rischio concreto che, da regionale, la crisi diventasse mondiale. Anche perché, notava, sia per Putin che per Joe Biden, la questione s’è fatta personale. «Più passa il tempo e più diventa difficile per i due maggiori protagonisti, che sono gli Stati Uniti e la Russia, Putin e Biden, fare un passo indietro. Perché un passo indietro lo devono certamente fare. Se rimangono fermi su queste posizioni, non si può far nulla, perché non si può convocare nessun incontro che sia produttivo. Tutti e due vogliono andare ad un incontro, ma vogliono andare senza aver rinunciato a nulla e se possibile anche avendo conquistato qualche posizione, qualche riconoscimento».
La posizione del Vaticano
Esisteva, dunque, solo una soluzione secondo Romano, che è quella prospettata all’inizio: un intervento di Francesco. Proprio ieri il Pontefice era tornato a invocare la pace con un appello in cui invitava tutti, credenti e non credenti, «a fare il 2 marzo, mercoledì delle ceneri, una Giornata di digiuno per la pace».
E un articolo apparso l’altro giorno sul Foglio, a firma di Matteo Matzuzzi, aiutava a decriptare la posizione della Santa Sede che, finora, s’è caratterizzata per una «”soft diplomacy”: guarda con preoccupazione la situazione sul terreno, invita alla preghiera per scongiurare la guerra, lancia appelli prima che al riconoscimento delle repubbliche del Donbass seguano i bombardamenti. Niente mediazioni, si ripete dal Vaticano: semmai si lavora per “facilitare” una soluzione tra le parti, anche se – trapela – la situazione è complessa».
Una mossa di papa Francesco
È cosa nota il feeling tra il Pontefice e il leader russo. «È il capo di stato che più volte è stato ricevuto in Vaticano», ricordava Matzuzzi. Così come tutti ricordano il suo intervento in Siria e la lettera che spedì a Putin per domandargli di evitare i bombardamenti sulla Siria.
Ora l’invasione russa ridisegna la situazione, ma resta vera la questione di fondo: non è dalle politiche muscolari di Biden e Putin che verrà una soluzione. È solo grazie a un intervento esterno ed autorevole cui tutti prestano ascolto che può arrivare una parola nuova in un contesto che s’è incancrenito. Serve appunto «un atto di sincera e buona volontà».
Articolo aggiornato il 24 febbraio alle 8.50. Foto Ansa
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