La corporeità: il pensiero di Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI

Di ANGELA AMBROGETTI
16 Maggio 2011
Sono passati trentanni dalla "teologia del corpo" di cui ci parlò diffusamente Papa Wojtyla. Oggi quella lezione fondamentale è stata ripresa da papa Benedetto XVI:«i nostri corpi non sono materia inerte, pesante, ma parlano, se sappiamo ascoltare, il linguaggio dell’amore vero»

«Credo in un solo Dio creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Sulla base di tale logica, nell’ambito della luce che proviene da Dio, anche il corpo umano conserva il suo splendore e la sua dignità. Se lo si stacca da tale dimensione, diventa in certo modo un oggetto, che molto facilmente viene svilito, poiché soltanto dinanzi agli occhi di Dio il corpo umano può rimanere nudo e scoperto e conservare intatto il suo splendore e la sua bellezza». Giovanni Paolo II lo disse l’8 aprile del 1994 celebrando la messa per il restauro del Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina. Una mirabile sintesi di quella teologia del corpo che negli anni Wojtyla ha illustrato con catechesi e discorsi e con la creazione di un istituto dedicato a Matrimonio e Famiglia, e quindi alla corporeità. Era il 13 maggio del 1981, Giovanni Paolo II nel discorso che doveva tenere all’udienza generale avrebbe annunciato la creazione del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e dell’Istituto di studi su matrimonio e famiglia presso la Università Lateranense. Un gesto profetico in quegli anni, nato dalle richieste dei vescovo che si erano riuniti pochi mesi prima nel Sinodo.

 

Il discorso non fu pronunciato. Quel giorno, festa della Madonna di Fatima, una mano sparò e un’altra fermò la pallottola. La profezia però dell’Istituto ebbe ancora un’altra eco. In quei giorni in Italia si doveva votare per il referendum sulla legge che legalizza l’aborto. Il papa aveva tuonato e pregato la domenica prima dell’attentato in difesa della vita nascente. La famiglia, la vita, la sessualità, la corporeità andavano difesi e compresi dai cristiani. Il 13 maggio 2011 papa Benedetto XVI riprende quel grandioso tema della corporeità. Lo fa proprio con i partecipanti a un incontro dell’Istituto che ora si chiama “Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia”. Sono passati 30 anni, ma il mondo sembra non aver ancora capito l’importanza della “teologia del corpo” e Benedetto XVI la ripropone ancora, parte proprio dagli affreschi di Michelangelo, da qui corpi «abitati di luce, vita, splendore. Voleva mostrare così che i nostri corpi nascondono un mistero. In essi lo spirito si manifesta e opera».  Ed è per questo che, dice il papa «i nostri corpi non sono materia inerte, pesante, ma parlano, se sappiamo ascoltare, il linguaggio dell’amore vero».

Si parte dalla creazione. Il corpo ci rivela la nostra Origine e porta in se un significato filiale. «Solo quando riconosce l’amore originario che gli ha dato la vita, l’uomo può accettare se stesso, può riconciliarsi con la natura e con il mondo». Ed è per questo che nei corpi di Adamo ed Eva prima della caduta c’è un linguaggio e un eros «che li invita a riceversi mutuamente dal Creatore, per potersi così donare». Dono anche nella castità, il contrario della negazione. «Non è un “no” ai piaceri e alla gioia della vita, ma il grande “sí” all’amore come comunicazione profonda tra le persone, che richiede il tempo e il rispetto, come cammino insieme verso la pienezza e come amore che diventa capace di generare vita e di accogliere generosamente la vita nuova che nasce». Ma c’è anche il linguaggio negativo del corpo: oppressione, dominio, sfruttamento, possesso. Un  linguaggio che «non appartiene al disegno originario di Dio, ma è frutto del peccato. Quando lo si stacca dal suo senso filiale, dalla sua connessione con il Creatore, il corpo si ribella contro l’uomo, perde la sua capacità di far trasparire la comunione e diventa terreno di appropriazione dell’altro». Ecco il dramma della sessualità di oggi «rinchiusa nel cerchio ristretto del proprio corpo e nell’emotività».

 

Ecco il ruolo della famiglia, luogo della corporeità filiale, del dono, del rispetto, della maturità affettiva. Dio offre all’uomo anche un cammino di redenzione del corpo, il cui linguaggio viene preservato nella famiglia. «E’ il luogo dove la teologia del corpo e la teologia dell’amore si intrecciano». Relazione e dono. Come Cristo, che da Figlio, «ha ricevuto il corpo filiale nella gratitudine e nell’ascolto del Padre e ha donato questo corpo per noi, per generare così il corpo nuovo della Chiesa. La liturgia dell’Ascensione canta questa storia della carne, peccatrice in Adamo, assunta e redenta da Cristo. È una carne che diventa sempre più piena di luce e di Spirito, piena di Dio». Parole che hanno una totale assonanza con quelle pronunciate da Giovanni Paolo II nel 1994 : «Se è vero che il corpo rappresenta la “kenosis” di Dio e che nella raffigurazione artistica dei misteri divini deve esprimersi la grande umiltà del corpo, affinché ciò che è divino possa manifestarsi, è anche vero che Dio è la fonte della bellezza integrale del corpo».

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