La Corea del Nord vince 4 ori alle Olimpiadi? «Tutto merito del nostro Grande leader»

Di Elisabetta Longo
02 Agosto 2012
Yun Om Chul, oro nel sollevamento pesi, ha dichiarato: «Ce l'ho fatta solo perché Kim Jong-il (ex dittatore scomparso lo scorso dicembre) mi ha guardato da lassù. È tutto merito suo».

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Se il mondo occidentale guarda con sdegno
i durissimi allenamenti a cui sono sottoposti gli atleti cinesi, il cui unico traguardo non è l’amore per lo sport bensì il numero di medaglie da conquistare, cosa si potrà mai pensare degli sportivi nordcoreani? Yun Om Chul è un sollevatore di pesi, della categoria 56 kg. È riuscito a fare il record del mondo senza nemmeno sudare troppo, sollevando 293 chilogrammi, ovvero cinque volte il suo peso. Un’impresa titanica per un omino alto 1,52 cm, per la quale lui rende grazie al “Grande leader”. «Ce l’ho fatta solo perché Kim Jong-il (scomparso lo scorso dicembre) mi ha guardato da lassù», ha raccontato alle telecamere dell’Olympic News service. «Gli altri atleti erano nervosi, io no, perché sapevo che lui vegliava su di me. Sono felice che lui mi abbia dato la forza necessaria per sollevare quei pesi, è come se avesse guidato le mie azioni, fino a farmi fare il record del mondo. È tutto merito suo». Non è la prima volta che al “Caro leader” vengono attribuiti super poteri. Nel 2010, a detta dell’allenatore, aiutò la Corea del Nord a perdere di misura ai Mondiali contro il Brasile. L’allenatore parlò di un telefono invisibile usato da Kim Jong-il per suggerirgli le tattiche da adottare in partita.

Il sollevamento pesi va forte tra i nordcoreani, ed è così che anche una donna ha conquistato nel 2008 una medaglia in bronzo, O Jong Ae, nella categoria dei 58 chili, che non ha gioito del traguardo conquistato, ma anzi si è scusata per non essere riuscita a fare meglio. «Volevo portare gioia ai miei compatrioti, e invece ho fallito, questo mi rattrista». Al di là dei ringraziamenti per chi sta nell’aldilà, la Corea del Nord sta guadagnando un tabellone di medaglie di tutto rispetto, essendo quinta in classifica, mentre in patria ci si dispera per le alluvioni disastrose che stanno funestando il paese. Ma gli atleti che vincono continuano a ricordare i compaesani e Kim Jong-un, il nuovo leader in carica. Come An Kum-ae, judoka vincitrice della medaglia d’oro nella categoria dei 52 kg. «Ho dato gioia e felicità al nostro leader». Bei tempi quelli in cui si ringraziava la mamma e il papà. Anche i genitori nordcoreani ringraziano pubblicamente Kim Jong-un, e lo stesso fanno i vicini di casa, che li chiamano per congratularsi di avere fatto grande il paese.

Chi vince avrà chiaramente i privilegi del vincitore. Gli atleti migliori ricevono in dono macchine, soldi, case e la possibilità di partecipare al partito politico Workers Party of Korea. Perdere non è consentito e qualora accada bisogna pagare il prezzo delle conseguenze. Venire espulsi dal partito nazionale, essere mandati in campi di prigionia e lavoro forzato, come è successo all’allenatore della nazionale nordcoreana che ha rovinosamente perso nei mondiali del 2010. In quel caso la telefonata invisibile di Kim Jong-il non è bastata a graziarlo. L’ex campione di judo Lee Chang-soo, ad esempio, ha visto cambiare la sua vita quando ha perso contro un sudcoreano, nella finale di Pechino dei giochi asiatici del 1990. Recentemente Lee ha raccontato alla Reuters che vincere o perdere in una gara internazionale per un atleta fa la differenza tra la vita e la morte. Quando si è reso conto di quello che gli sarebbe successo, Lee è scappato e non è più tornato in patria.

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