Tentar (un giudizio) non nuoce

La cooperazione allo sviluppo è camminare accanto e costruire la pace

Di Raffaele Cattaneo
12 Aprile 2025
È un valore da difendere, un patrimonio del nostro Paese e un caposaldo della nostra politica estera. Non bisogna buttare il bambino con l'acqua sporca
(Foto Ansa)
(Foto Ansa)

La cooperazione allo sviluppo è la forma delle relazioni internazionali che più di tutte costruisce la pace. Voglio ribadirlo nel momento in cui la politica estera sembra occupata più a gestire conflitti che a costruire ponti e gli Stati Uniti hanno bloccato tutti i fondi alla loro agenzia UsAid, mettendo in difficoltà moltissime ong in tutto il mondo.

La cooperazione allo sviluppo è una attività che affonda le proprie radici nei valori umani più solidali e nella storia della nostra democrazia, che oggi più che mai torna ad essere strumento decisivo di convivenza e di civiltà. In un mondo attraversato da tensioni geopolitiche, guerre e nuove forme di dominio, la cooperazione rappresenta la bussola che ancora punta verso l’incontro e la collaborazione, non verso la contrapposizione. Per questo, nonostante ci siano state storture che vanno denunciate, non si può “buttare via il bambino con l’acqua sporca”. La cooperazione allo sviluppo rimane un valore da difendere, un patrimonio del nostro Paese e un caposaldo della nostra politica estera.

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Idee e azioni concrete

Il Documento triennale di programmazione e indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo italiana – discusso e approvato la scorsa settimana nella riunione del Comitato Nazionale, cui ho partecipato in rappresentanza delle regioni – rilancia con forza questo paradigma. Il documento riconosce che la cooperazione non può più essere letta come un’azione episodica o settoriale, ma come un’iniziativa di sistema, capace di coinvolgere una pluralità di attori: soggetti istituzionali, organizzazioni della società civile, università, enti locali, imprese, centri di ricerca, sindacati. È questa coralità, questa intelligenza collettiva, che rende possibile un’azione efficace e duratura, per mettere in moto non solo azioni umanitarie a dono, ma interventi che diventino realmente motore di sviluppo.

Nella mia esperienza in Regione Lombardia, abbiamo cercato di tradurre questa visione in azioni concrete. Abbiamo creato tavoli di lavoro aperti e inclusivi, dove soggetti diversi – pubblici e privati – hanno potuto condividere progetti, metodi, obiettivi. Abbiamo costruito un ecosistema della cooperazione, capace di mobilitare risorse umane, tecniche, relazionali. Perché la cooperazione rappresenta la capacità di legare storie e saperi, di mettere insieme ciò che è frammentato, di costruire ciò che da soli non sarebbe possibile.

In questo senso, è significativo il richiamo contenuto nel documento triennale teso a rafforzare il ruolo degli enti territoriali e delle realtà locali. È lì, nei territori, che la cooperazione tesse relazioni ancora più dirette. È lì che la politica si fa prossimità. Regione Lombardia, in questi anni, ha rilanciato una serie di iniziative che avevano subito una battuta d’arresto nel passato recente a causa della pandemia. Le abbiamo riattivate con convinzione, coinvolgendo attori nuovi, aprendoci a collaborazioni inedite, guardando alla cooperazione come a un’opportunità strategica.

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Giorgia Meloni con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a Roma in occasione del summit Italia-Africa, 29 gennaio 2024 (foto Ansa)

Un patto tra pari

Il Piano Mattei, in questo quadro, rappresenta un’occasione preziosa. Ma solo a patto che venga interpretato nel suo spirito autentico. Non come una nuova forma di controllo, ma come un partneriato paritario, fondato sul rispetto, sull’ascolto, sulla valorizzazione delle specificità. Non si tratta di esportare modelli. Si tratta di co-costruire percorsi. Non si tratta di “fare per”, ma di fare con. La cooperazione vera rifiuta ogni forma di colonialismo mascherato, ogni paternalismo umanitario che nasconde giudizio e dominio sotto la retorica dell’aiuto.

La nuova cooperazione allo sviluppo deve essere costruita su basi diverse. Sull’idea che ogni Paese, ogni comunità, porta con sé un sapere e una dignità che vanno riconosciuti e rispettati. La cooperazione non è un atto di generosità, ma un patto tra pari. Non nasce da chi ha di più che dall’alto si cala verso chi ha di meno, ma da chi è disposto a condividere per crescere insieme. In questo senso, è una forma di civiltà. Un modo di concepire la politica estera che mette al centro l’umano, la relazione, la giustizia.

Il gesto politico più radicale

Oggi più che mai, mentre si riaffacciano pulsioni sovraniste, logiche di contrapposizione, chiusure nazionalistiche, la cooperazione rappresenta la faccia buona della politica estera. Quella che costruisce pace, nel concreto, ogni giorno. Non con le dichiarazioni, ma con i progetti. Non con gli slogan, ma con il lavoro. Viene fatta nei Paesi dove è più difficile, più rischioso, più urgente. In Lombardia ci stiamo attivando in Ucraina, nei Balcani, in Tunisia, in Tanzania, in Kenya. Lo fa creando alleanze tra università e imprese, tra ong e istituzioni, tra mondi che imparano a non guardarsi più da lontano.

Ecco perché è fondamentale sostenere e moltiplicare questi sforzi. Perché il mondo ha bisogno non solo di più aiuti, ma di più fiducia. E la fiducia nasce quando ci si riconosce, si costruisce insieme, quando non si ha paura di camminare accanto.

Forse oggi è proprio questo il gesto politico più radicale. Camminare accanto.

Pace è camminare accanto

In un tempo in cui la parola “pace” è scomparsa dal lessico della forza, la cooperazione allo sviluppo non è solo una strategia. È una visione dell’uomo. È l’idea che la libertà non sia mai davvero tale se non si gioca nella relazione. È la convinzione che ogni forma di potere che si impone senza ascoltare, fallisce.

Questa forma di cooperazione non ha nulla di debole. È determinata, organizzata, precisa. Ma non urla. Non esibisce. Non colonizza. Mette insieme. E riconosce, nell’altro, un volto e non un bisogno. Perché si può aiutare solo ciò che si è prima guardato. Si può costruire solo dove si è disposti a restare. E a camminare accanto.

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