
La Colletta alimentare è una festa. Una speranza che diventa proposta

Sabato si è svolta la Giornata della Colletta alimentare. Pubblichiamo due lettere giunte in redazione.
Caro direttore, per il sedicesimo anno ho partecipato come volontario alla Giornata Nazionale della Colletta Alimentare qui in Provincia della Spezia, che ha visto coinvolti 43 supermercati (rispetto ai 47 dell’anno precedente): ciononostante è stato confermato come per il 2017 un raccolto totale di 26 tonnellate.
Nei giorni precedenti ho invitato e coinvolto tutti i miei conoscenti per metterli al corrente della colletta; una persona in particolare all’atto di invitarlo mi ha risposto: «Nessun uomo è in grado di compiere un gesto di gratuità totale, l’uomo non è totalmente gratuito, c’è sempre un fine dietro».
Non ho tenuto molto conto della sua risposta, anzi ho ribattuto fermamente pensando di sapere e conoscere già tutto.
In realtà la sua provocazione mi ha cominciato ad pressare fin dalla prima mattina di sabato e solo guardando e riscoprendo quello che avevo davanti ho potuto essere di nuovo certo che la Colletta è sempre qualcosa di nuovo per me.
Al di là dei numeri e delle tonnellate raccolte quello che si può intravedere è un’umanità in movimento.
Una compagna delle superiori che non incontravo da una decina d’anni, sapendo della mia presenza al supermercato, mi è venuta a trovare ed ha anche lei partecipato per la prima volta alla Colletta facendo la spesa.
Alcuni carcerati della Casa Circondariale di La Spezia hanno speso le loro poche ore di libertà vigilata del sabato per partecipare come volontari.
Una decina di richiedenti asilo sono rimasti fino a tarda notte nel magazzino generale del Banco Alimentare ed hanno impilato ordinatamente scatoloni e scatoloni di generi alimentari.
Una parrocchia ha partecipato alla Colletta portando come “rinforzi” tutti giovanissimi tale per cui ad un certo punto della giornata mi sono ritrovato il più “adulto” in mezzo a loro (ho 33 anni), restando fino alla chiusura.
Sono fatti che non possono essere misurati con elaborazioni aritmetiche o con il numero di tonnellate di scatoloni, ma solamente con la forza di un “miracolo”, quella del “dono di sé commosso” come diceva don Giussani, che diventa contagioso.
La Giornata Nazionale è per me sempre di più sinonimo di una grande festa a cui partecipano tutti, donatori e famiglie, volontari e commercianti, tante persone che si ritrovano per un momento collettivo di carità.
Un’amica andando a fare la spesa ieri ha osservato una scena dove c’erano due bambini indaffarati ed entusiasti:
– “Mamma questa è la farina, dove la mettiamo?”
– “Ecco, la farina va in questo scatolone”
– “Papà, guarda quante cose…”
– “Sì… sei contento?”
– “Sì! Sì!”
Questa mattina scrivendo questo breve commento mi è ritornato in mente l’episodio ed ho immaginato la condivisione e la bellezza di questa complicità.
Sono questi fatti che accadono che confermano una volta di più che fare la Colletta è una possibilità educativa non solo per me ma per tutti, per la famiglia, per i bambini, per chi dona, per chi riceve e per chi organizza.
Oscar Teja
Consigliere Comunale della Spezia – Gruppo Toti-Forza Italia
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Un sabato grigio a “fare” la colletta alimentare in un piccolo supermercato di periferia ad Arezzo: abbiamo a disposizione un angolo ristretto e il calpestabile è così ridotto da farci perdere l’equilibrio nell’operazione di riempimento degli scatoloni.
Il negozio, minimalista (niente faretti, né espositori accattivanti, solo merce accatastata) ricorda i vecchi empori di una volta dove si entrava dritti a comprare quello che serviva, senza indugiare (oggi in certi centri commerciali ti ritrovi con il carrello esuberante di acquisti fuori lista) e rimanda ai suoi utenti sbrigativi e veloci: niente carrelli ricolmi, quattro cose in mano, a volte una trascuratezza nel vestire indice di un disagio nel vivere… pochi denari in tasca, problemi col lavoro, chissà…
È palpabile in certi sguardi/espressioni, nella stessa postura, una sottile depressione, una tristezza o mancanza non certo legata all’età (certi vecchietti/e sono più arzilli di giovani uomini e donne che escono guardando in basso).
Non sentirsi realizzati, un lavoro che non c’è o non piace, una malattia, aspettative infrante, povertà, solitudine, vecchiaia, sono i morsi della realtà che strappano la speranza, quella speranza di felicità che tutti ci ritroviamo dentro e che in maniera più o meno consapevole vorremmo corrisposta nello snodarsi della vita.
Mi sento “fortunata” perché non ho mai avuto il problema di mettere sulla tavola pranzo e cena per figli e nipoti, per acquistare i beni di prima necessità senza i quali le ore del giorno diventano opprimenti e lo sbarcare il lunario un fiume in piena in cui remare controcorrente.
La colletta procede lentamente, ma con sistematicità.
Mi accorgo di uno struggimento per questa gente inquieta, soffocata e chiusa, che non riesce a dare, ma che soprattutto sembra avere perso la propria umanità. Penso che questo agglomerato di persone che stiamo diventando oggi, difficile sempre più chiamarlo popolo, chiama coloro che una speranza ancora ce l’hanno a riguadagnarla e a farla fruttare, perché possa diventare una proposta di vita più vera aperta a tutti.
Claudia Nicastro via email
Foto Ansa
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