La Cassazione conferma il carcere per Sallusti. Ma va contro le sue stesse sentenze

Di Redazione
01 Ottobre 2012
Sul Giornale di oggi si citano le sentenze della Cassazione, della Corte europea, della Corte Costituzionale contrarie alle pene detentive per i reati di opinione, alle quali i giudici non si sarebbero conformati nel caso Sallusti

Alessandro Sallusti dovrebbe scontare quattordici mesi di prigione per il reato di omesso controllo e diffamazione aggravata a mezzo stampa nei confronti del giudice Giuseppe Cocilovo. La condanna è stata emessa dalla prima sezione della Corte d’Appello di Milano il 17 giugno scorso e confermata dalla Corte di Cassazione, ma il direttore del Giornale ne sarebbe venuto a conoscenza solo pochi giorni prima dell’appello. Cocilovo si è sentito diffamato per un articolo apparso su Libero nel 2007, firmato Dreyfus (Renato Farina) nel quale si commentava, in modo diffamatorio, secondo il magistrato, una notizia di cronaca, poi rivelatasi errata, che lo vedeva protagonista.

LA VICENDA GIUDIZIARIA. Cocilovo querelò il direttore Sallusti, in quanto responsabile della pubblicazione dell’articolo. Dopo la condanna in appello, il magistrato ottenne 30 mila euro e Sallusti fu condannato a 14 mesi di carcere. Corrisposto il risarcimento pecuniario stabilito dalla Corte, i legali de Il Giornale domandarono agli avvocati di Cocilovo di ritirare la querela per evitare il carcere al giornalista, ma il magistrato avrebbe posto come condizione sine qua non il pagamento di ulteriori 20 mila euro. Poiché il giorno successivo alla trattativa, al posto di pagare la somma, Sallusti scrisse un editoriale in cui si chiamava a raccolta «l’intera categoria nel nome della libertà di stampa», Cocilovo avrebbe deciso di non ritirare la querela. In un’intervista apparsa su La Stampa il 27 settembre, il magistrato si è indignato per  l’atteggiamento «bieco e corporativo» della casta dei giornalisti, la quale avrebbe preso le difese di Sallusti senza prestare la debita attenzione al suo caso. Secondo Cocilovo, peraltro, nell’editoriale di Sallusti sarebbe passata l’idea che il magistrato avrebbe preteso quei soldi (i 20 mila euro) per sé, quando invece, spiega Cocilovo, avrebbe voluto «devolverli a Save the children». In ogni caso, dopo la sentenza della Corte di Cassazione che conferma la pena, la querela non può più essere ritirata, dunque la condanna di Sallusti è diventata definitiva. Per legge, il direttore del Giornale ha trenta giorni di tempo per chiedere misure alternative alla carcerazione. Poiché però ha dichiarato di non volerne fare richiesta, senza un intervento legislativo che modifichi le pene detentive in sanzioni pecuniarie, Sallusti andrà in carcere.

LA CORTE COSTITUZIONALE E LA CORTE EUROPEA. Sul Giornale di oggi, Domenico Ferrara cita le sentenze della Cassazione, della Corte europea, della Corte Costituzionale, contrarie alle pene detentive per i reati di opinione, alle quali i giudici, nel caso Sallusti, non si sarebbero conformati. «La sentenza 19985 del 30 settembre 2011 della terza sezione della Cassazione», per esempio, «che parlava di “immediata rilevanza in Italia delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, di “obbligo, da parte del giudice dello Stato, di applicarle direttamente” e di “tenere presente l’interpretazione delle norme contenute nella Convenzione che dà la Corte di Strasburgo attraverso le sue decisioni”». Per la Convenzione dei diritti dell’uomo e la Corte europea «nessun giornalista può andare in carcere per il reato di diffamazione». «L’assunto è stato ribadito nella sentenza del 2 aprile 2009 nella quale la Corte di Strasburgo ha condannato la Grecia a risarcire il giornalista Kydonis perché “le pene detentive non sono compatibili con la libertà di espressione” e perché “il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei giornalisti di informare con effetti negativi sulla collettività che ha a sua volta diritto a ricevere informazioni”». Nonostante «la Cassazione abbia più volte sentenziato che il giudice non può prescindere dal considerare le sentenze della Corte Europea», afferma Ferrara, «le toghe hanno snobbato le decisioni dei loro pari». «Anche la Corte Costituzionale è stata snobbata. Nella sentenza 39/2008, la Consulta aveva stabilito che “le norme della Convenzione europea devono essere considerate come interposte e che la loro peculiarità, nell’ambito di siffatta categoria, consiste nella soggezione all’interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti, salvo l’eventuale scrutinio di costituzionalità, sono vincolati a uniformarsi”».

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SANZIONI PECUNIARIE SPROPORZIONATE. «Se tutto ciò non bastasse, ci sono poi altre sentenze della Corte Europea che, pur non occupandosi direttamente della pena detentiva per i reati di diffamazione, ribadiscono che nessun giornalista può andare in carcere per questo reato. Prendiamo per esempio la sentenza 17 luglio 2008, sul caso del giornalista Claudio Riolo, che ha condannato l’Italia a un risarcimento di 60 mila euro per violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea». «La seconda sezione ha stabilito che “le sanzioni pecuniarie sproporzionate tolgono la libertà di espressione a chi viene condannato”, figuriamoci la galera». «Si annoverano poi altre sentenze della stessa Corte. Sentenze che salvaguardano “le informazioni e le opinioni che urtano o inquietano” o che proteggono la facoltà del giornalista a “utilizzare una certa dose di esagerazione e, persino, di provocazione” e “un tono polemico e addirittura aggressivo”. Insomma, di elementi per decidere diversamente ce n’erano a iosa, così come sono tante e chiare le sentenze in materia. Meno chiaro è perché i giudici che hanno deciso sul caso Sallusti non le abbiano tenute (nemmeno questa volta) in considerazione».

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