La cancel culture non risparmia neppure l’anti schiavista Edmund Burke

Di Daniele Meloni
11 Ottobre 2022
Una commissione vuole togliere dalle aule parlamentari inglesi i ritratti del padre del conservatorismo. Lui era un sostenitore del movimento abolizionista, ma non suo fratello
Edmund Burke

Edmund Burke

Vita dura per i conservatori inglesi. Se per quelli viventi i sondaggi in vista della prossima tornata elettorale sono impietosi, anche per quelli del passato i tempi sono grami. Ne sa qualcosa Edmund Burke, padre del pensiero conservatore britannico, finito sotto indagine da parte della zelante Commissione sulle Opere d’Arte di Westminster, un organo che valuta le persone raffigurate in quadri e statue esposti nella Camera dei Comuni e in quella dei Lord.

Si dà il caso che Burke, nato nel 1729 e scomparso nel 1797, e celebre per le sue Riflessioni sulla Rivoluzione Francese, abbia una statua eretta in suo onore nella St. Stephen’s Hall e un suo ritratto appeso nella sala da pranzo dei parlamentari dei Comuni. La Commissione, che ha visto la luce nel 2020 dopo le proteste del movimento Black Lives Matter, ha scoperto, però, che il fratello del filosofo era iscritto nel registro delle famiglie che si occupavano di commercio di schiavi nei Caraibi e che quindi, anch’egli ha avuto legami con «il lavoro forzato degli schiavi uomini, donne e bambini delle colonie britanniche e non solo».

Nessuno è innocente

Dove condurrà questa “indagine”? Quando si rivanga nel passato – con scopo rigorosamente ideologico e strumentale – si sa dove si inizia ma non dove si finisce. Il chairman della Commissione è un Tory, Dean Russell, ma la sua composizione è bipartisan, e ha ottenuto l’ok anche da parte dello speaker della Camera dei Comuni, il laburista Sir Lindsay Hoyle, entusiasta nell’appoggiare un progetto che prevede la «classificazione di tutte le opere legate allo schiavismo in Parlamento».

Così, sono finiti sotto inchiesta – postumi in vita – alcuni Re come Carlo I e Carlo II, il leader liberale ottocentesco William Gladstone, che ha ricevuto dei soldi dallo Stato britannico come compensazione per l’abolizione per legge della tratta degli schiavi – e che era, almeno inizialmente, schiavista convinto – e persino il Visconte Chaplin, tenutario di una scuderia di cavalli da corsa realizzata, all’inizio del novecento, con i proventi della tratta degli schiavi di cui si occupavano i suoi avi.

Un fiero oppositore dello schiavismo

Il caso più spinoso è, però, quello di Burke. Non solo per il suo ruolo nel plasmare un pensiero politico anti-rivoluzionario e pragmatico che è sempre stato maggioritario nel Regno Unito, ma anche perché Burke è sempre stato un fiero oppositore dello schiavismo e delle politiche a esso collegate. Era un sostenitore del movimento Abolizionista – che portò il Regno Unito ad abolire la schiavitù nel 1808 – e auspicava un programma di graduale abolizione di una pratica che definì, più volte, anche nei suoi interventi a Westminster, «abominevole». Ottenne celebrità quando fu tra gli accusatori del governatore britannico del Bengali e ne chiese l’impeachment per le ingiustizie che regnavano nel suo territorio.

Insomma, non proprio uno schiavista dalle solide credenziali, eppure è bastato che il fratello Richard – anch’egli parlamentare Whig ai tempi – fosse coinvolto nel commercio, per tentare di riscrivere la sua vita e mettere in dubbio il suo posto nell’olimpo dei grandi pensatori che hanno determinato la politica britannica nella storia.

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