La Cambridge University Press rimuove gli articoli sgraditi al partito comunista cinese, poi ci ripensa

Di Francesca Parodi
22 Agosto 2017
La casa editrice dell'università inglese si autocensura piegandosi alle richieste del governo di Pechino. Via gli articoli su piazza Tiananmen, rivoluzione culturale, Hong Kong e Tibet

Cambridge-University

La Cambridge University Press, una delle più antiche case editrici al mondo, di proprietà dell’Università inglese, prima si piega alle richieste del governo di Pechino e censura diversi contenuti del suo sito cinese, poi, sotto le forti pressioni del mondo accademico occidentale, ci ripensa e reintroduce gli articoli rimossi. Settimana scorsa l’editore aveva confermato di aver bloccato più di 300 articoli della China Quarterly, una delle principali riviste di studi in Cina. Gli articoli censurati, compresi alcuni pubblicati decenni fa, comprendono firme di grandi specialisti a livello internazionale e riguardano argomenti considerati tabù dal Partito comunista cinese, per esempio il massacro di piazza Tiananmen nel 1989, la catastrofica Rivoluzione culturale di Mao, la lotta di Hong Kong per l’indipendenza e le tensioni tra la regione autonoma dello Xinjiang e il Tibet.

«PREOCCUPAZIONE E DELUSIONE». L’editore aveva spiegato che se non avesse ceduto alle pressioni delle autorità cinesi, il governo avrebbe bloccato l’intero sito, mentre l’intenzione della Cambridge University Press è quella di «garantire che gli altri materiali accademici e didattici che pubblichiamo rimangano disponibili ai ricercatori e agli educatori» di quel paese. La decisione è stata accolta con sgomento dagli accademici di tutto il mondo, tanto che un gruppo di professori hanno scritto una lettera aperta per sollecitare la casa editrice a invertire la propria politica e difendere la libertà accademica. In una lettera, Tim Pringle, direttore della China Quarterly, ha espresso «profonda preoccupazione e delusione», aggiungendo che «questa restrizione della libertà accademica non è una mossa isolata, ma un’estensione di politiche che hanno ridotto lo spazio per l’impegno e la discussione pubblica nella società cinese». La petizione su Change.org, lanciata da un professore dell’Università di Pechino, ha attratto più di 600 firme da parte di accademici europei, americani e asiatici e ha definitivamente convinto la Cambridge University Press a tornare sui propri passi.

CENSURA. Come fa notare il Guardian, la censura imposta dalla Cina sui contenuti web non è una novità, poiché già in passato l’accesso alle notizie internazionali è stato bloccato. Da quando Xi Jinping è salito al potere cinque anni fa, Pechino ha esercitato uno stretto controllo sul mondo accademico, e l’anno scorso il presidente ha affermato di voler trasformare le università in “forti” del Partito comunista.
Questa forma di controllo sta però diventando sempre più aggressiva e capillare, come dimostra il fatto che in quest’ultimo caso ad essere censurata è una rivista accademica relativa piccola e dal bacino di utenza non troppo ampio. Un numero sempre maggiore di intellettuali cinesi decide di cercare rifugio negli Stati Uniti e alcuni accademici stranieri sono bollati dalle autorità cinesi che negano loro i visti.

VPN E FACEBOOK. Il rigido controllo del governo cinese passa in rassegna tutti i contenuti stranieri del web e come è noto, sono stati bloccati anche diversi social media, come Facebook, Twitter e YouTube, e il motore di ricerca Google. Il New York Times scrive che questo blocco può essere aggirato da un particolare software, il VPN, una rete privata virtuale che fa sembrare che l’utente si trovi in una località al di fuori della Cina. Le VPN sono utilizzate soprattutto dagli stranieri e da una piccola minoranza di cinesi, ma spesso questi software non sono affidabili e necessitano di un metodo di pagamento straniero, come una carta di credito. Inoltre il governo ha recentemente promesso di fermare l’uso delle VPN in Cina e Apple ne ha già rimosso la vendita in conformità con gli ordini del Partito. Sempre il New York Times ha recentemente raccontato la nuova strategia di Facebook per raggiungere la Cina: la creazione di un’app di condivisione delle fotografie attraverso una società cinese apparentemente slegata da Facebook. Tuttavia diversi esperti sono scettici su un decisivo ingresso del social network nel mercato cinese. Tutti questi tentativi, scrive il NYT, sottolineano le difficoltà di superare le barriere cinesi proponendo contenuti ritenuti delicati, di qualsiasi sorta in qualsiasi ambito.

@fra_prd

Foto Ansa

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