
La battaglia di Raqqa

Articolo tratto dall’Osservatore romano – In attesa della ripresa dei colloqui di Ginevra, prosegue l’offensiva curda su Raqqa, ultima roccaforte del cosiddetto stato islamico (Is) in Siria. Milizie curde e siriane sostenute dalla coalizione internazionale a guida statunitense sono riuscite a penetrare nella città e ora si combatte casa per casa per cercare di accerchiare gli ultimi jihadisti rimasti e costringerli alla resa. La battaglia più intensa, iniziata da poche ore, è quella per il controllo del quartiere occidentale di Rumaniya e della zona industriale a est della città vecchia di Raqqa. Si tratta di un punto strategico d’importanza cruciale sia per i rifornimenti ai jihadisti sia per il controllo militare della città. Intanto, diverse fonti locali riferiscono che i curdi hanno conquistato importanti aree sempre a ovest.
Non mancano tuttavia le polemiche. La Russia ha accusato la coalizione internazionale a guida statunitense e i gruppi curdi di permettere alle forze dell’Is di lasciare Raqqa e di «dirigersi verso le province dove sono attive le forze governative siriane». Lo ha detto il comandante delle truppe di Mosca in Siria, Serghiei Surovikin. Il capo del dipartimento generale operativo dello stato maggiore russo, generale Serghiei Rudskoi, ha invece affermato che «la guerra civile in Siria si è praticamente fermata» dopo che il 4 maggio ad Astana è stato firmato un memorandum per la creazione delle zone di sicurezza. Pochi giorni fa il segretario di stato americano, Rex Tillerson, si è confrontato con il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, sulla possibilità di un rafforzamento della tregua nelle zone di sicurezza. Un punto di cruciale importanza, che dovrà essere discusso nei prossimi colloqui a Ginevra sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Ieri, nel frattempo, forze governative siriane e milizie loro alleate hanno raggiunto il confine siro-iracheno nella parte sud-orientale del paese, circondando di fatto forze siriane rivali, tra le quali numerosi gruppi curdi. Una situazione potenzialmente esplosiva: mai le forze dei due schieramenti anti-Is si erano trovate tanto vicine.
La tensione è altissima. Lo riferisce una piattaforma di notizie on line vicina alle milizie irachene. Anche diverse televisioni hanno confermato la notizia dell’arrivo delle forze governative e dei loro alleati alla striscia di confine con l’Iraq, a nord-est del valico di Tanf, controllato dalle forze siriane sostenute dagli Stati Uniti. Nei giorni scorsi media governativi siriani e fonti militari russe avevano preannunciato l’arrivo al confine siro-iracheno delle forze di Damasco.
A questo si aggiunge anche un altro aspetto, che rende la vicenda ancor più complicata: molte milizie irachene che combattono insieme all’esercito a Mosul stanno avanzando verso nord con l’intenzione di oltrepassare il confine con la Siria e congiungersi a gruppi combattenti siriani.
In questo quadro generale, diversi analisti denunciano aperte violazioni del diritto internazionale e in particolare il ricorso ad armi non convenzionali, come ad esempio le famigerate bombe al fosforo. Secondo alcuni testimoni, i raid con bombe incendiarie sarebbero avvenuti nei pressi del quartiere Mashlab, a est della città vecchia di Raqqa, proprio dove stavano avanzando le forze curdo-siriane sostenute dagli Stati Uniti. Anche se l’impiego di ordigni incendiari al fosforo fosse confermato, non è chiaro se siano stati usati solo per illuminare il campo di battaglia, come consentito dalle convenzioni internazionali, o per colpire obiettivi a terra, cosa che invece è proibita. L’uso di bombe di questo tipo nella battaglia del 2004 per strappare agli insorti la città irachena di Falluja fu ammesso dalle truppe americane che affermarono di averle usate solo per “stanare” le milizie avversarie. Tuttavia, in Siria l’impiego di queste armi in combattimento è stato più volte denunciato soprattutto nella battaglia di Aleppo. Molti hanno puntato il dito contro i jihadisti dell’Is, mentre altri hanno accusato Washington e i militari siriani.
Sullo sfondo, resta la drammatica situazione dei profughi e dei civili intrappolati nei combattimenti. A pagare il prezzo più amaro sono le donne e i bambini. Il 2016 è stato l’anno in cui il numero dei minori uccisi, mutilati e purtroppo anche reclutati nelle fila dei gruppi armati ha raggiunto il picco più alto.
Poche cifre bastano a far capire la gravità della situazione: 255 dei bambini uccisi nel 2016 (652) si trovavano a scuola o nelle sue vicinanze; un milione e 700.000 non possono più frequentare la scuola; una scuola su tre è inutilizzabile, alcune sono occupate da gruppi armati. «L’Unicef ha ricevuto notizie allarmanti di almeno 25 bambini uccisi e di molti altri feriti nella città di Raqqa».
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