
La ballata epistolare di Pietro e Teresa, segno di una storia sublime e cristiana

Articolo tratto dal numero di novembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
È il Natale del 1924 «quando Pietro prende il coraggio a due mani e scrive a Teresa, di cui scopre di essere innamorato, dopo averla vista in chiesa». In chiesa! Tanto basta a un ventunenne di Genzano di Roma per inviare la prima di 432 lettere d’amore a una diciottenne che splende di «cristiana condotta» per dirle che «vi amo di un amore grande e sublime».
Inizia così, con una spudoratissima certezza d’amore, l’epistolario più lungo – allegro come una ballata – della storia dei fidanzamenti, e Dio benedica Walter Muto (una garanzia quando si tratta di scovare, narrare, cantare belle vicende umane) per averlo riarrangiato e dato alle stampe. I soli fatti che hanno portato un amore del secolo scorso a carambolare fino ai giorni nostri valevano il libro: c’entrano una coppia e un corso fidanzati a San Felice da Cantalice, a Roma, 45 anni fa; lo tiene un frate cappuccino usando a mo’ di catechesi la corrispondenza di babbo Pietro e mamma Teresa tra il 1924 e il 1933, anno delle nozze.

Lettere di amore vero (Àncora) è la loro storia, traboccante di speranza: non sa, Pietro, quanto dovrà aspettare prima di ricevere risposta da Teresa e poi sposarla. Un’attesa fecondissima riempita da amicizia e botta e risposta chestertoniani («Ecco – scrive Teresa – se i due pareri si riconoscono ugualmente buoni, ma diversi, allora faremo a gara per esser primi ad accettar volentieri il parere dell’altro»), uno stile tanto desueto da suonare irresistibile: e per parlare di cosa? Di cose semplici e di Cristo, parlarne così liberamente e animatamente da spiazzare il più devoto o laico dei lettori avvezzi a credere all’amore come a una cosa di addizioni e ragionamenti.
«Non dobbiamo piacere al mondo. Siamo cristiani», ripete Teresa, «se il lavoro di bottega non t’impedisce di fumare e fumare, quantunque ci vogliano almeno cinque minuti ogni sigaretta, tanto meno potrà impedirti di dire una giaculatoria di due secondi». Le mette il broncio Pietro: «Sono due lettere che chiudi nella stessa maniera, “qualche altro dovere mi attende”, come se fosse un dovere scrivere al fidanzato». Sono cristiani, mica alieni, ma cristiani veri: ogni umanissima baruffa si chiude col perdono avvicinandoli all’altare. Si sposeranno, alfine, avranno cinque bambini, il tifo si porterà via Teresa ma non quel sì, maturato in Cristo per anni, per sempre.
Foto pxhere.com
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