
L’estrema destra al governo in Austria non è una novità

«C’è poca discussione sulle questioni politiche reali, e c’è molto poco nel programma dell’Fpö che lo separa dal Partito popolare», ha dichiarato al Financial Times l’autorevole storico austriaco Lothar Höbelt, che da quasi trent’anni fa la spola, quanto a simpatie politiche, fra l’ex partito liberal-conservatore diventato partito di estrema destra nel 1986 sotto la guida di Jörg Haider e l’Övp, lo storico partito cristiano-democratico che partecipando a varie coalizioni ha quasi sempre diretto l’Austria dopo la Seconda Guerra mondiale.
L’Fpö ha già governato due volte l’Austria
Övp e Fpö hanno già governato insieme nel 1999 e nel 2017, in governi dopo qualche tempo naufragati per scandali o dissidi fra alleati che nulla avevano a che fare con politiche di estrema destra. Perché allora stavolta si registrano grida d’allarme e levate di scudi sia a Vienna che in tutta Europa di fronte all’ipotesi di una terza edizione della coalizione nerazzurra (il nero e il blu sono i colori dei due partiti, il primo controintuitivamente identificativo dei popolari, richiamo alle radici nella Chiesa cattolica e all’abito dei sacerdoti)?
Certo, ha provocato indignazione la notizia che venerdì scorso, proprio alla vigilia delle elezioni, al funerale di un politico dell’Fpö tre esponenti dello stesso partito hanno intonato una canzone popolare patriottica tedesca dell’Ottocento che era diventata l’inno ufficioso delle Ss.
Inquietudine ha suscitato anche lo slogan scelto da Herbert Kickl, l’attuale leader del partito, per la campagna elettorale: «Endlich wieder ein Volkskanzler», finalmente torna un cancelliere del popolo. L’ultimo capo di governo di lingua tedesca che si è presentato con questo appellativo, “Volkskanzler”, è stato niente meno che Adolf Hitler.
Tuttavia faccende simili hanno sempre costellato la vita del Partito della libertà austriaco (questa la traduzione del suo nome), e non hanno impedito le precedenti partecipazioni al governo né hanno condotto alla messa fuori legge della formazione. Perché stavolta le cose dovrebbero andare diversamente, e il partito primo classificato con il 29,2 per cento dei voti dovrebbe per forza restare fuori dal prossimo esecutivo?
Le paure dell’Unione Europea
Due possono essere le spiegazioni. La prima riguarda il contesto internazionale europeo. «Se l’Fpö riuscisse a costruire una coalizione, l’Unione Europea si troverebbe di fronte a un blocco populista euroscettico che comprende Austria, Ungheria e Slovacchia, e forse la Repubblica Ceca dopo le elezioni previste per l’anno prossimo», si legge sul Financial Times.
Il successo dell’ultradestra austriaca viene infatti ad aggiungersi alla vittoria dello Smer-Sd in Slovacchia, dove il partito dell’ex premier Robert Fico, sopravvissuto all’attentato del 15 maggio scorso, ha sconfitto gli europeisti di Slovacchia progressista di Michal Simecka nelle elezioni politiche del settembre di un anno fa; al risultato di Alleanza per la Germania (Afd) alle elezioni regionali del 1° settembre scorso, che hanno visto il partito della destra radicale tedesca primo in Turingia e secondo in Sassonia; e sembra preludere al ritorno in auge di un altro nazionalista, l’ex primo ministro ceco Andrej Babiš, il cui partito (Ano 2011, che aderisce a livello europeo ai Patrioti per l’Europa di Salvini, Orbán, Le Pen e Wilders) è largamente in testa nei sondaggi in vista del voto politico dell’ottobre 2025 e ha stravinto le elezioni regionali del 22 settembre scorso, conquistando 10 regioni su 13 della Repubblica Ceca col 35 per cento dei voti su base nazionale.
Il governo europeista del primo ministro Petr Fiala è sull’orlo di un rimpasto a causa di questa sconfitta. Prima di tutto ciò, Viktor Orbán era stato confermato per la quinta volta come dominus dell’Ungheria nelle elezioni dell’aprile 2022 vinte ancora una volta da Fidesz.

Anti-migranti, anti-Ue e pro Russia
Tutti questi partiti hanno in comune tre caratteristiche: sono euroscettici, sono favorevoli a politiche migratorie estremamente restrittive fino al rimpatrio di quote di stranieri nei paesi di origine e simpatizzano per la Russia o sono comunque favorevoli a una normalizzazione dei rapporti con l’attuale governo russo.
Mentre la prima e la seconda caratteristica preoccupano soprattutto Bruxelles e le istituzioni dell’Unione Europea, la terza turba i sonni degli anglosassoni e dei paesi più esposti alla potenza russa come Polonia e paesi baltici. Va ricordato che l’Austria, per quanto la riguarda, è paese neutrale con atto costituzionale del 1955 e non fa parte di nessuna alleanza militare.
Il nodo del clientelismo in Austria
Il secondo motivo di ostilità verso un ritorno al governo dell’Fpö è prettamente austriaco, e riguarda il sistema clientelare e partitocratico che caratterizza la vita del paese dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Scrive l’insospettabile Matthew Karnitschnig (Reuters, Bloomberg, Business Week, Wall Street Journal) su politico.eu:
«L’Övp è al potere in Austria ininterrottamente dal 1987, sia in grandi coalizioni guidate dai socialdemocratici di centrosinistra, sia come partner senior del Partito della libertà di estrema destra. […] L’influenza del partito si manifesta in quello che si potrebbe giustamente definire una forma di Deep State. Per decenni l’Övp e i socialdemocratici si sono spartiti i frutti del potere attraverso un sistema clientelare noto come Proporz. I posti di lavoro dei dipendenti pubblici, gli incarichi di insegnante e gli incarichi esecutivi nelle società controllate dallo Stato sono stati distribuiti più o meno proporzionalmente a membri dei due partiti per mantenere un equilibrio nell’apparato statale. Sebbene la rigidità del sistema si sia erosa negli ultimi decenni man mano che nuovi partiti, tra cui il partito dei Verdi e quello della Libertà, hanno preso piede, le nomine vengono ancora effettuate in base all’affiliazione politica, formale o informale. E nessuna forza politica è stata più abile dell’Övp a sfruttare questo sistema».
La lotta al “comunismo climatico”
La denuncia del consociativismo è stato uno dei cavalli di battaglia della campagna di Kickl, insieme a temi squisitamente libertari (ancorché discutibili) che gli hanno fatto guadagnare voti ben al di fuori della cerchia dei nostalgici del Terzo Reich.
In coerenza con la ragione sociale della sua formazione politica (“Partito della libertà”), il giovane leader ha denunciato le eccessive restrizioni alla vita dei cittadini imposte dal governo durante la pandemia da Covid, l’obbligatorietà delle vaccinazioni anche per i più giovani, il “comunismo climatico” che impedisce ai cittadini meno abbienti di disporre di automobili a prezzo economico, le limitazioni alla libertà di parola che l’ideologia woke sta imponendo anche in Austria.
Dai sondaggi è risultato che la fascia di popolazione entro la quale il partito è più popolare è quella dei giovani fra i 18 e i 29 anni, cioè il gruppo che più ha sofferto i divieti di contatto sociale imposti durante il Covid. Il tema dei migranti, con la possibilità di procedere al rimpatrio di un certo numero degli stessi, figurava solo a pagina 17 del manifesto elettorale del partito.
Se l’Austria non esclude l’Fpö
Con tutto questo, è altamente probabile che il prossimo governo austriaco escluda l’Fpö e consista in un tripartito formato da popolari, socialdemocratici e liberali. Una scelta che va in controtendenza rispetto a quello che si è fatto e si sta facendo in molti altri paesi d’Europa, dove l’estrema destra viene integrata negli esecutivi o nella maggioranza che sostiene il governo. È già così in Finlandia, Svezia, Olanda e ora persino in Francia, dove il Rassemblement National appare destinato a essere la forza politica che permette al governo Barnier, nominato dal presidente Emmanuel Macron, di governare.
La logica dietro a queste soluzioni è che mettendo alla prova dell’amministrazione della cosa pubblica i partiti estremisti si ottiene almeno uno di due risultati virtuosi possibili: o si mostra agli elettori l’inconsistenza pratica delle soluzioni proposte da queste forze e la loro incapacità di governare, oppure si ottiene la conversione al realismo, alla moderazione, al pragmatismo di queste stesse forze, che da antisistema diventano sostegno della governabilità. Nel mondo germanofono questo approccio – già proposto da alcuni osservatori al loro interno – non è ancora praticato. Ma potrebbe essere solo questione di tempo.
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