
«L’Azerbaigian trasforma l’Artsakh in un campo di concentramento»

«L’Azerbaigian sta trasformando l’Artsakh in un campo di concentramento». È la durissima accusa lanciata al regime di Baku da Arayik Harutyunyan, presidente della Repubblica dell’Artsakh. Da 226 giorni, oltre sette mesi, il territorio del Nagorno-Karabakh è completamente isolato a causa del blocco del Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega la regione abitata da 120 mila armeni all’Armenia e al resto del mondo.
L’Azerbaigian affama gli armeni dell’Artsakh
Durante una conferenza stampa straordinaria, il presidente Harutyunyan ha descritto le conseguenze della «catastrofe umanitaria» provocata dall’Azerbaigian «in spregio al diritto» e nell’indifferenza della comunità internazionale. In Artsakh mancano cibo, medicine, prodotti sanitari, latte in polvere per i neonati, riscaldamento, elettricità e benzina.
Il trasporto pubblico, così come quello privato, è completamente fermo, eccezione fatta per due autobus nella capitale e poche ambulanze. L’agricoltura è al palo per la mancanza di elettricità, interrotta da Baku insieme alle forniture di gas provenienti dall’Armenia. I malati gravi non possono essere curati né essere trasportati, come prima del blocco, negli ospedali dell’Armenia.
Dodicimila persone, pari al 60 per cento della forza lavoro del settore privato, hanno perso la propria occupazione e non possono più sostentare le proprie famiglie. A causa dei continui blackout le scuole non possono funzionare con regolarità e gli studenti sono costretti a studiare a lume di candela, mentre per riscaldare le case gli abitanti devono ricorrere alla legna.
Se dal 12 dicembre al 14 giugno l’Azerbaigian ha permesso almeno il passaggio di alcuni camion della Croce rossa internazionale carichi di aiuti umanitari, dal 15 giugno anche questi sono stati bloccati e i negozi sono pressoché vuoti.
«L’esistenza di 120 mila armeni è a rischio»
«L’esistenza fisica di 120 mila armeni è a rischio», ha dichiarato il presidente Harutyunyan. «La comunità internazionale non può più restare a guardare mentre l’Azerbaigian porta avanti in modo meticoloso la sua politica, che altro non è se non un tentativo di pulizia etnica e genocidio ai danni del nostro popolo».
La Corte internazionale di giustizia ha già condannato Baku a riaprire il Corridoio di Lachin ma il regime di Ilham Aliyev ha snobbato l’ordine. Ecco perché, continua il presidente dell’Artsakh, «la comunità internazionale deve prendere provvedimenti unilaterali per far rispettare la sentenza. Il corridoio va riaperto subito». In alternativa, le Nazioni Unite dovrebbero riconoscere ufficialmente l’Artsakh come una zona sottoposta a disastro e di conseguenza «intervenire inviando aiuti via aria».
«Abbiamo diritto all’autodeterminazione»
Rispondendo a una domanda di Tempi, il presidente Harutyunyan ha negato categoricamente che l’Artsakh, come recentemente dichiarato dal premier armeno Nikol Pashinyan, possa essere riconosciuto come parte dell’Azerbaigian in cambio di solide garanzie di sicurezza per la popolazione armena e del riconoscimento da parte di Baku dell’integrità territoriale dell’Armenia.
«Nessuno può privare il nostro popolo del diritto all’autodeterminazione, che non dipende dal dialogo tra Armenia e Azerbaigian», ha dichiarato il presidente a Tempi. «Siamo ridotti alla fame in una situazione di catastrofe umanitaria: come si può pensare che l’Azerbaigian rispetterà i nostri diritti?».
«Per l’Ue il gas conta più della nostra vita?»
Durante l’ultimo incontro tra Pashinyan e Aliyev mediato dall’Unione Europea, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha sostenuto la proposta di Baku, che si è offerta di fornire aiuti all’Artsakh dopo aver cercato di affamarne la popolazione per oltre sette mesi. «Come possiamo fidarci dello stesso paese che vuole farci morire di fame?», ha tuonato il presidente dell’Artsakh rispondendo alle domande dei giornalisti e rimproverando Bruxelles. «Ci tengono alla nostra gente? Benissimo, riaprano immediatamente il Corridoio di Lachin. Non abbiamo bisogno di altro».
Harutyunyan ha rifilato anche un’altra stoccata all’Unione Europea, che ha definito Aliyev «partner affidabile» firmando nuovi contratti per la fornitura di gas con il regime azero: «Com’è possibile che per Bruxelles il gas sia più importante del diritto alla vita di 120 mila persone?».
Se l’Armenia sembra sul punto di cedere alle richieste dell’Azerbaigian, «una alternativa esiste», dichiara ancora Harutyunyan a Tempi: «La comunità internazionale non deve restare indifferente alla nostra situazione e agire perché questa ingiustizia che non ha eguali oggi nel mondo finisca».
«Fermate il genocidio degli armeni in Artsakh»
E a chi gli chiede se l’Azerbaigian potrebbe invadere militarmente l’Artsakh, come già fatto nel 2020, il presidente risponde: «Attualmente stiamo subendo un crimine di guerra, quindi siamo già in guerra. Un’invasione è possibile, non possiamo escluderlo».
Noi, ha però ribadito, «siamo pronti a morire per il diritto a vivere in pace nella nostra terra. Sta alla comunità internazionale impedire che si verifichi il più grande crimine contro l’umanità del XXI secolo: il genocidio degli armeni dell’Artsakh».
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