
L’alleanza tra Ungheria e Serbia che strizza l’occhio a Mosca

Alla notizia rimbalzata su tutti i media che la Serbia sta per firmare un contratto a prezzi favorevolissimi per un triennio di forniture di gas russo mancano gli elementi di contesto. E del contesto fanno parte rapporti serbo-ungheresi sempre più stretti e centrati proprio sull’acquisto di energia da Mosca; uno stallo nel processo di distensione dei rapporti di Belgrado con l’Albania e col Kosovo; l’ambiguità strategica di cui si compiace il presidente serbo Aleksandar Vucic.
La Russia fa prezzi stracciati alla Serbia
Secondo quanto raccontano le fonti serbe, la decisione di garantire alla Serbia un contratto triennale con un prezzo di favore è stata presa nel corso di una recente conversazione telefonica fra Vucic e Putin, e la firma dovrebbe avvenire all’inizio del mese di giugno, quando in una data non ancora fissata è prevista una visita del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov a Belgrado. Il prezzo che la Serbia pagherebbe alla Gazprom per il gas naturale risulterebbe un terzo del prezzo pagato da altri paesi europei, ed esso potrebbe scendere a un decimo o a un dodicesimo dello stesso durante il periodo invernale, con un importo che dovrebbe oscillare tra i 340 e i 350 dollari per 1.000 metri cubi. Vučić ha anche affermato che il prezzo concordato si applicherà a 2,2 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno e che la Serbia ha bisogno di altri 800 milioni di metri cubi (il consumo del paese si aggira sui 3 miliardi metri cubi all’anno).
La Serbia importa l’81 per cento del gas che consuma e il 18 per cento del petrolio e derivati dalla Russia attraverso Gazprom, che detiene la maggioranza della società di Stato per gli idrocarburi serba (direttamente o attraverso sussidiarie). La firma di un nuovo contratto è in ogni caso necessaria perché quello vecchio scade proprio il 31 maggio. Attualmente i serbi pagano il gas naturale russo 270 dollari per 1.000 metri cubi.
L’intesa con l’Ungheria di Orban
Nei giorni immediatamente precedenti all’annuncio dell’accordo telefonico serbo-russo avevano avuto luogo incontri fra le autorità serbe e quelle ungheresi nel corso delle quali si sono messe a punto intese che permettono alla Serbia di stoccare in Ungheria il gas acquistato. La Serbia può utilizzare le strutture dell’Ungheria per immagazzinare 500 milioni di metri cubi di gas russo che gli garantiranno una fornitura costante durante l’inverno, secondo un accordo raggiunto mercoledì tra i due stati a Budapest.
«Inizieremo a riempire il deposito entro la fine di giugno. La Serbia potrà ritirare tre milioni di metri cubi di gas a ottobre ogni giorno, la quota giornaliera salirà a sei milioni a novembre, dicembre, gennaio e febbraio e scenderà nuovamente a tre a marzo», ha spiegato puntigliosamente il ministro delle Finanze serbo Siniša Mali dopo l’incontro con il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto a Budapest. «I cittadini serbi non dovrebbero preoccuparsi dell’approvvigionamento di gas per il prossimo inverno», ha affermato Mali, confermando che «il gas scorrerà normalmente dalla Serbia all’Ungheria e ritorno, e faremo di tutto per mantenerlo tale».
L’asse energetico
Nel frattempo, i due paesi hanno anche deciso di collegare le loro reti elettriche per «dare a entrambi gli stati l’opportunità di assicurarsi e scambiare maggiori quantità di elettricità a lungo termine», ha affermato Szijjarto. La realizzazione del progetto dovrebbe richiedere dai sei agli otto anni.
Nel fine settimana il presidente serbo Vucic e il primo ministro ungherese Orban si erano incontrati alla Fiera agricola di Novi Sad, al confine fra i due paesi, e lì avevano riaffermato l’importanza del partenariato strategico fra i due Stati e la sintonia esistente, annunciando l’accordo sullo stoccaggio del gas e non solo quello. Ha raccontato Vucic al sito web B92: «Abbiamo discusso del difficile inverno che arriverà, e ho chiesto al primo ministro Orbán una cosa davvero importante: “Possiamo immagazzinare parte della nostra energia in Ungheria, dal momento che non abbiamo abbastanza capacità sul nostro territorio?”. Ha risposto in una frazione di secondo: “Affare fatto!”. Abbiamo anche convenuto che, se all’Ungheria mancasse qualcosa, la Serbia sarà lì per aiutare».
L’ambiguità di Orban e Vucic
Stessa musica dalle labbra di Orban: «Ungheria e Serbia sono in condizioni di sicurezza per quanto riguardo il gas naturale e i prodotti agricoli, dal momento che sono garantiti i trasporti ferroviari dai porti della Grecia in Europa attraverso Serbia e Ungheria. Ma qualunque cosa succeda i due paesi possono contare l’uno sull’altro, e cercheremo di concordare le nostre posizioni bilateralmente e multilateralmente». All’Onu i due paesi hanno votato a favore della mozione di condanna dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e della sospensione di quest’ultima dalla Commissione per i diritti umani, ma la Serbia non aderisce alle sanzioni contro Mosca e Budapest ha bloccato a lungo il sesto pacchetto di sanzioni europee relative al petrolio russo.
Vucic ha poi accennato ad un altro ambizioso progetto dei due paesi: «Dobbiamo investire in sicurezza, dobbiamo lavorare sulle energie rinnovabili. Oggi abbiamo discusso dell’opzione per la Serbia di acquisire una partecipazione del 10 o del 15 per cento nella centrale nucleare ungherese Paks 2. L’Ungheria potrebbe in cambio investire nella centrale idroelettrica di Djerdap». Si tratta di una delle più grandi centrali elettriche sul Danubio, costruita congiuntamente dalla Jugoslavia e dalla Romania negli anni ’70.
I difficili rapporti tra serbi e albanesi
Nel frattempo diventano più difficili i rapporti fra i serbi e gli albanesi. Alle recenti elezioni parlamentari nessun candidato di etnia albanese è risultato eletto, mentre due anni fa erano stati tre nella regione della valle della Presheva, dove è concentrata la minoranza albanese di passaporto serbo. Il risultato è dovuto in parte alla mancata coalizione fra i locali partiti albanesi, che riflettono le fratture della vita politica sia albanese che kosovara, e in parte anche al fatto che negli anni le autorità serbe hanno cancellato dai registri elettorali circa 6 mila elettori di etnia albanese, stabilendo che non potevano dimostrare di essere residenti nel territorio. Questo tuttavia non spiega interamente il cattivo risultato dei due partiti etnici albanesi che si sono presentati separati: il Partito per l’azione democratica (Pda), guidato da Shaip Kamberi e l’Alternativa per i cambiamenti di Shqiprim Arifi hanno ottenuto sommati insieme 13 mila voti, mentre alle passate elezioni in coalizione ne avevano ricevuti 26 mila.
Il 12 maggio scorso il Kosovo ha presentato domanda per essere ammesso nel Consiglio d’Europa, e questo ha causato la reazione di Belgrado, che ha dichiarato che farà di tutto perché la domanda non venga accettata. Nonostante le pressioni dell’Unione Europea e in particolare della Germania, la Serbia non intende approvare sanzioni economiche contro la Russia. Tuttavia dopo i due voti all’Onu ha nuovamente espresso una condanna formale per l’invasione russa dell’Ucraina in occasione del summit per la Strategia Ue della Macroregione Adriatico-Ionica che si è tenuto a Tirana settimana scorsa.
La condanna dell’invasione dell’Ucraina
Qui tutti e dieci i paesi della Macroregione Adriatico-Ionica (Croazia, Slovenia, Italia, Grecia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Albania e San Marino) hanno espresso «rincrescimento nei termini più forti per l’ingiustificata e illegale invasione dell’Ucraina da parte della Russia. (…) Confermiamo il nostro impegno a favore della sovranità e indipendenza, unità ed integrità territoriale dell’Ucraina nei suoi confini internazionalmente riconosciuti». La Serbia non è contraria alla creazione di una Comunità geopolitica europea che riunisca tutti i paesi che hanno fatto domanda per essere ammessi nell’Unione Europea, recentemente proposta dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, ma insiste che nulla può sostituire la sua piena adesione alla Ue.
Foto Ansa
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