
Kisses on the bottom: il buon jazz di Paul McCartney
Se avete più di cinquant’anni e siete nostalgici dello swing che fu, questo è il vostro cd. Ma anche se siete più giovani e vi diverte la vintage music di Michael Bublè e le scorribande di nonno Bennet con i vip del pop, potreste considerare questo album un’operazione che ha un senso. Insomma, non lasciatevi irretire dalla classica diatriba tra soloni che retoricamente continuano a chiedersi se registrare nel 2012 un disco di standard degli anni ’30 e ’40 sia superfluo o indispensabile; a favore di Paul McCartney resta la sincerità della proposta: cioè quella di omaggiare attraverso questi brani la figura del padre che, in gioventù, glieli fece scoprire. Brani che divennero poi, nel primo catalogo dei Beatles, un suo punto di riferimento culturale. Il recupero della memoria musicale, non è nuovo tra i Beatles: John Lennon lo fece già nel 1975 con “Rock’n roll”, lo stesso McCartney nel 1999 organizzò un ensemble estemporaneo e rilesse in “Run devil run”, con arrangiamenti essenziali e grezzi, alcuni classici del rock anni ’50.
In Kisses on the bottom, il “Macca” guarda ancora più indietro e la sua macchina del tempo recupera lo swing, il primo jazz, quello dei locali fumosi di New York e Harlem, dove nel leggendario Cotton Club si esibivano Duke Ellington e Cab Calloway. In attesa dell’esplosione del boogie di Glenn Miller. In questo cd, a suo modo rivoluzionario, l’ex beatle, affronta i brani non famosissimi con divertimento e passione, creando con la sua voce un’atmosfera senza tempo, fuori dai nostri giorni ansiogeni.
Merito, anche dei suoi illustri compagni di viaggio: una Diana Krall, presente in tutto l’album con la sua affidabile band, impegnata al piano e agli arrangiamenti. Una collaborazione tra due solisti, inedita e inusuale a questi livelli di professionismo e popolarità. In più, McCartney si avvale della London Symphony Orchestra che accompagna il tutto con eleganti e sognanti tappeti di violini. Da segnalare le altre “guest star” che compaiono nei due inediti, che si inseriscono a pieno titolo nel “mood” dell’intero cd: un Eric Clapton, sempre più slowhand, anche lui protagonista di un levigato e fin troppo “pulito” progetto vintage di un paio d’anni fa, e Stevie Wonder, che rimette in azione l’armonica a bocca, in una serie di croccanti contrappunti.
Concludiamo con una nota curiosa: in sede di presentazione, McCartney ha svelato di aver tentato di arrangiare brani dei Beatles in stile “jazzy”, ma di esserne rimasto perplesso. Strano, nella band che lo accompagna in questa nuova avventura musicale, compare John Pizzarelli, un valente chitarrista swing, che nel 1998 realizzò un azzeccato disco di cover “beatlesiane”, proprio con questo stile. Titolo: “John Pizzarelli meets the Beatles”. Vivamente consigliato.
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Non sopporto i Beatles, ma Paul Mc Cartney come solista e’ eccezionale, da sempre.