
“Katanga che sorpresa!” vota Sì

«Possiamo darci del tu?». Prego. «Nel ’68 ero già laureato in filosofia e lavoravo da Roland Berger, allora come oggi una delle maggiori società di consulenza internazionale. Lì ho avuto la mia formazione. E, diciamo così, a quell’epoca ho anche vissuto una specie di separazione: di giorno ero integrato nel sistema e vedevo che le cose funzionavano, di sera negavo che il sistema potesse andare avanti». Il personaggio con cui stiamo amabilmente conversando è un tale che è stato tra i promotori del manifesto (e relativa adunata all’Università Statale di Milano, 4 novembre) dei sessantotto sessantottini che sessantottarono l’Italia di fine anni Sessanta. E per parecchi anni a venire. Finché un bel giorno abbracciarono un’onesta professione borghese. Chi di banchiere (Piero Modiano). Chi di presidente di Fondazione anti-Ogm (Mario Capanna). E chi, per la maggior parte, di politico Pci-Pds-Ds-Pd, giornalista, intellettuale, direttore di giornale (e da Ferruccio de Bortoli a Dario di Vico, da Fiorenza Vallino a Gianni Barbacetto, ce ne sono in giro una pletora). Ebbene, quasi tutti costoro, domenica 4 dicembre voteranno Sì al referendum.
Perché voteranno Sì? Perché, per prima cosa, sono convinti che, come dice il nostro interlocutore di cui stiamo per scoprire l’identità, Renzi e i suoi «sono gente che ci sa fare». E, in secondo luogo perché, a noi che siamo gente a cui non convince per niente il contenuto pasticcione e arruffato della riforma Boschi (l’ammazza federalismo e il ritorno al centralismo con un Senato sbrindellato di nominati perditempo), eppure non abbiamo nulla di personale contro Renzi e il suo gruppo di giovani arditi, costoro rimproverano la cattiva compagnia grillante in cui ci siamo messi. Ebbene, di questa buona compagnia sessantottino-renziana, incontriamo il lato che meno ti aspetti. Quello del Sì serafico, allegro, ironico. E perfino berlusconianamente sornione, per nulla incline al propagandismo del Sì come ultimo Piave “per cambiare l’Italia”.
Dunque, le tue giornate giovanili erano divise tra l’impiego in una multinazionale e la militanza a un presidio antifascista. Intanto facevi carriera. In quale comparto? «Sondaggistica. E ho avuto anche delle belle soddisfazioni. Ho imparato il mestiere in Germania, facendo sondaggi per i Lander. Adesso faccio anche operazioni commerciali. Ma il nucleo della mia competenza, rimane quello, la sondaggistica». Beh, allora immagino che avrai sondato gli orientamenti sul referendum. Come va a finire, secondo te? «Guarda, data la complessità delle variabili, ti confesserò che tutti i sondaggi hanno un’attendibilità uguale a zero. Valgono i focus group, che recitano in modo molto diversificato. Al sud probabilmente decideranno i “cacicchi”. Che non sempre sono in odore di mafia, è il costume del sud, sono una sorta di “notabilato” che traina di qua o di là il voto popolare».
La tua personale percezione? «La mia percezione è che la parte migliore del paese sia per il Sì. I mondi delle professioni, della produzione, dell’intellettualità, della progettazione, dello spettacolo, sono per il Sì. Purtroppo c’è un tam tam che perdura, anche a sinistra, che tende a incanaglire il confronto, per cui poi alla fine c’è il rischio che il voto venga deciso di “pancia”. Però, guarda, non c’è nessun’altra prospettiva fuori da questo governo. Anche perché di Renzi puoi dire tutto quello che vuoi ma sta tirando su un nuovo Pd. Ascolta me che ho l’occhio lungo: vedo finalmente una nuova sinistra che non vuole più stare all’opposizione, cincischiare e poi mettersi d’accordo trafficando strapuntini di favori. No, questa nuova sinistra renziana vuole il Governo e vuole restarci. Non so come la pensi tu, ma ti confesso che questo piglio egemonico a me piace».
È un piglio che ti ricorda i bei tempi della vostra egemonia in università, eh? «Penso che tu ti riferisca al nostro servizio d’ordine… Ma guarda, no, non è questo…». Ride. Che poi noi di Cl non abbiamo preso le botte “egemoniche” che voi del Movimento Studentesco e poi Movimento Lavoratori per il Socialismo avete dato, tanto per dirne un paio, a Avanguardia Operaia e a Lotta Continua. Però, insomma “egemonici” lo eravate, e anche parecchio maneschi. Gianni Barbacetto, che all’epoca era dei vostri mi ha detto: «Essere del Movimento Studentesco voleva dire far parte automaticamente del suo servizio d’ordine».
«Sì, ma sai, è passata così tanta acqua sotto i ponti, che all’assemblea in Statale (4 novembre, quella del 68’ per il Sì, ndr) c’erano quelli di Lotta Continua, Lanzone, insomma sembrava un intergruppo parlamentare. Mancava solo una frazione di Avanguardia Operaia del Politecnico, che con Basilio Rizzo si sono schierati per il No». Ah, quelli a cui faceste lo striscio e busso in Piazza Fontana. «Vabbè, tempi andati, per fortuna. Poi in realtà è brava gente questa di Ao per il No… Ma io sono fiducioso, dico a riguardo del referendum, e se ti devo dire propria tutta la verità, beh, ti dico che ho scommesso 100 euro con mio figlio che lavora in Africa sulla vittoria del Sì. E lui, che stando in Africa dev’essere diventato un po’ di AO, ne ha scommessi 100 sulla vittoria del No».
A inquadrare il profilo del nostro interlocutore, Mario Martucci, 75 anni, due figli e, fin da quando era comunista, la stessa moglie Agnese Santucci (figlia di Luigi, il maggior scrittore cattolico “irregolare” del dopo guerra), che incrociamo dopo averlo conosciuto solo per fama tanti anni fa («tu studiavi al Molinari», e come lo sai? «ragazzo mio, siamo sempre stati informati noi di Via Festa del Perdono»), fa gioco citare l’incipit di un pezzo pubblicato da Repubblica qualche anno fa. Allorché a Martucci venne lo sghiribizzo di scrivere il suo primo romanzo, dopo che aveva scritto un fantastico librino di memorie sul ’68. Fantastico perché prendeva per i fondelli il celebrato Formidabili quegli anni del suo amico Mario Capanna. E perché, collocata in copertina l’immagine dello strumento rivoluzionario per eccellenza – una bella chiave inglese in campo bianco – titolava con perfezione di selvaggia ironia Katanga che sorpresa! Una nuova chiave di lettura del ’68 milanese. E così, tanta bella gente milanese che poi fece il pesce in barile si ritrova raccontata con affettuoso sarcasmo, sotto i nomi di battaglia dell’epoca in cui tutti insieme appassionatamente giocavano alla rivoluzione.
Ed ecco l’incipit di Repubblica, 17 settembre 2014.«Le lunghe sedute dal dentista sono occasione per chiacchiere e ricordi, soprattutto sull’epoca formidabile del ‘68 e sui suoi derivati. E diventano un libro: Gaz (Leone Editore), scritto, con l’amico Mario Mazzanti (il dentista), da Mario Martucci. Per i milanesi che il ‘68 l’hanno vissuto, un nome indimenticabile, il capo dei famigerati Katanga, il servizio d’ordine del Movimento Studentesco (di cui è stato anche fondatore assieme a Mario Capanna), un pool di duri sempre pronti all’intervento energico. Physique du rôle assoluto, un armadio umano alto un metro e ottantacinque, due mani come pale (soprannome: «Manina»). E dunque Sì. Si il nostro interlocutor cortese fu inventore, capo e “manina” dei “famigerati” Katanga. Oggi è tra i capi ex sessantottardi del Sì al referendum.
Ma torniamo a bomba, caro Mario. Di là c’è Renzi, e di qua, comunque vada il referendum, secondo te cosa resterà? «Guarda, ho vissuto molto positivamente Parisi, non l’ho affatto sottovalutato, malgrado io abbia fatto campagna elettorale per Sala, e per i miei amici ovviamente. Parisi mi piace perché rappresenta l’ala tory della destra, la parte propositiva, aperta, che non arretra davanti ai problemi e che francamente cerca di mettere una sordina a quei toni insopportabili fascio-leghisti. Non so come la pensi, ma hai fatto una certa storia, non credo che tu possa essere consentaneo con Salvini o la Meloni, la shampista». La shampista? «Non so se ti ricordi quelli che non avevano molto chiare le idee ma intervenivano sempre in assemblea. Scusa l’espressione, noi li chiamavamo “quelli che parlano a cazzo”. Parlavano veloci, in modo che tu non riuscivi ad arrivare a un nucleo di loro pensiero. Questa è la Meloni, secondo me. Comunque Berlusconi va benissimo. Solo che è evidente che sta ballando sui carboni ardenti e deve giustificare come mai vota No. Come fa, dopo che lui stesso ha fatto un tentativo nobile di riforma costituzionale, glielo hanno mandato a pallino, ha votato tutta la prima parte del Patto del Nazareno? Come fa, adesso, a rigirarsi contro? Dopo di che, mi pare che Berlusconi stia già parlando di un governo tecnico, post referendum, sostenuto con i suoi voti».
Il pericolo grosso però è Grillo. «Anche qui, francamente ti devo dire che proprio per la mia esperienza di movimento, secondo me Grillo ha portato a casa tutto quello che poteva portare. Adesso è finita la fase dell’accumulo e comincia la fase della perdita. È nelle città che si evidenzia una palese incapacità che va a discapito dei cittadini. Non ci guadagna nessuno a votarli. Al massimo non fanno guai. Anche l’Appendino, che sembrava la più spendibile, si sta facendo sfilare tutto l’aspetto della cultura, proprio perché non hanno una vera e propria concezione, non hanno una cultura. E lui, Grillo, ultimamente è un delirio. Come dire, il peggior Saracino (capo Ms secessionista, o “frazionista”, secondo il gergo del movimento degli anni 70, ndr)».
Un talento negativo. «È così, a Napoli dicono “la fregna in mano a’ criature”. È un proverbio volgare, ma spiega come uno si trovi qualcosa di importante tra le mani e non sappia cosa farne. Scusami la citazione inglese, però ci sta. Da questo punto di vista anche Casaleggio era poca roba. Hanno lavorato bene i due sugli stilemi tecnici della modernità, la rete, il digitale, quelle due tre cose lì, che Casaleggio ha studiato per primo, li ha capiti, ha saputo adattarli alla situazione italiana, ma insomma, ripeto, poca roba. Adesso Grillo fa il pesce in barile, non prende posizione sulle cose importanti, pensa di andare in surf sull’onda lunga, prendere il tunnel dell’onda che si chiude e uscirne fuori vincitore. Non credo. Perché anche se vince il No non potrebbe intestarsi la vittoria». Perché non potrebbe intestarsela? «Ma perché ha fatto la solita campagna separata dell’“io non vado con nessuno”. D’accordo, sta giocandosi l’ultima carta, vuole andare al governo. Ma come fa? Non si può alleare con nessuno, dà le carte ai Salvini e alle Meloni ma poi i due e la shampista non possono certo andare al governo insieme. Dove vuoi che vada il disperato Grillo?».
Foto Ansa
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