
Kamikaze, frutto dell’ideologia
Mi è capitato di discutere sui fatti di Nassiriya con un collega di università. La discussione mi ha stimolato ad andare al fondo di alcune questioni cruciali. La prima è l’equiparazione dei kamikaze con chi difende la patria o la famiglia. Dove sta la menzogna di questa idea, in molti casi condivisa anche in buona fede? L’errore nasce da un’osservazione superficiale dei fatti che non vede la diversità di scopi, modi e ragioni. è il frutto amaro dell’ideologia. La nostra civiltà nasce dalla domanda vera e profonda di un significato, dalla percezione di non potersi salvare da soli, dall’aver bisogno di un altro. L’uomo, così, per secoli ha cercato Dio. Poi, con Abramo si accorge che è Dio a cercare lui. E infine è Dio stesso a raggiungerlo con un volto amico. Gli insegna ad amare, a sperare, a desiderare, a costruire, a riconoscere il proprio errore, a chiedere perdono. Nella tradizione cristiana vive in mezzo a noi. Chiunque desideri un significato, chiunque l’abbia trovato, capisce che questo bene è inestimabile. Ne è nata una civiltà dove anche il no global e l’ultrà di sinistra possono manifestare per strada, senza essere incarcerati o trucidati se disturbano il potente di turno, come avviene in tutte le parti del mondo.
Non sono mancati gli errori, anche gravi, ma in questa civiltà si impara anche a riconoscerli. Il cuore di tutto, in questa civiltà, è la singola persona; ogni io è unico e irripetibile e c’è sempre un cristiano, un religioso, un libertario che lo difende contro il potente di turno.
Che differenza con una cultura che si inventa un Dio serpente, un Dio che vuole la distruzione e la morte. Il kamikaze muore per affermare una cultura di morte, di potere. Non però quello dei poveri del mondo, ma dei più ricchi che con fortune smisurate spingono i più poveri alle peggiori efferatezze, mentre ignorano la loro sorte. Quanto i martiri cristiani o i combattenti di Lepanto o i Carabinieri di Nassiriya odiano la guerra e vogliono la pace, tanto i fondamentalisti ne fanno strumento di distruzione di una intera civiltà. Chi afferma un relativismo cinico, può essere in buona fede, benché stordito dall’ideologia. Non capirlo è perdere di vista sia la propria percezione di uomo, che la coscienza della propria storia. Il popolo italiano, in questa occasione l’ha percepito con chiarezza. Sta ai capi religiosi e politici rendere stabile questo giudizio e insegnare a fare la guerra in modo giusto: con la testimonianza di novità, bellezza, carità, capacità di sacrificio che si legge nella nostra storia di ieri e di oggi.
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