
Kaiser Franz Storace
Battutista mai per caso, ha detto in televisione che se perde la presidenza della regione Lazio per colpa di Alessandra Mussolini avrà il diritto di considerarsi l’ultima vittima del fascismo. Lui, Kaiser Franz Storace (secondo l’efficacissima definizione che gli ha cucito addosso Pietrangelo Buttafuoco), l’ex missino capace di togliere per tre mesi il saluto a Gianfranco Fini dopo il viaggio a Gerusalemme del leader di An, e minacciare addirittura di spaccargli il partito. I due hanno fatto pace da tempo, ma è stato proprio in occasione di un convegno per finiani scontenti che, circa un anno fa, il governatore ha cominciato a raccogliere le firme per il progetto che secondo lui ad aprile gli garantirà un secondo mandato alla regione Lazio. Il progetto si chiama lista Storace ed è un faticosissimo traguardo per raggiungere il quale il presidente ha dovuto prima convincere i suoi colleghi di An che non toglie più voti ai partiti del centrodestra di quanti ne raccolga tra gli elettori di centrosinistra; e poi duellare con Silvio Berlusconi che, come anche Umberto Bossi, di liste collegate ai candidati presidenti non voleva nemmeno sentir parlare. Il premier ha bloccato analoghe iniziative di Roberto Formigoni in Lombardia e di Raffaele Fitto in Puglia. Con Storace il meccanismo dei veti non è riuscito. Perché lui ha giocato d’anticipo e anche duro.
Con Berlusconi – ricorda soddisfatto – ha sfruttato il principio del silenzio assenso: prima che il premier avesse finito di ragionare sulle liste dei presidenti Storace aveva già formato la sua e rassicurato il Cavaliere per lettera («Le malelingue dicono che in una riunione tenuta in mia assenza avresti eccepito, mi rifiuto di pensarlo eccetera»). Nessuna risposta, dunque via libera nella certezza che «senza lista Storace, niente Storace». Qualche settimana fa c’è poi stato un momento in cui il negoziato sulle liste della Casa delle Libertà sembrava dover penalizzare anche Storace. An gli ha fatto quadrato attorno e la tenacia spesa per «avere accanto un personale estraneo agli schemi classici della politica né tantomeno proveniente dal mio partito di riferimento» è stata riconosciuta e premiata. Così Storace adesso vanta, tra le altre, la candidatura come capolista dell’ex rettore della Sapienza Giuseppe D’Ascenzo, e poi quella di Lella Golfo, presidente della Fondazione Bellisario, di Donatella Boselli, eletta nella lista civica di Walter Veltroni al comune di Roma, addirittura di alcuni esponenti della Cgil, di un ex senatore dei popolari, Manio Ianni, a Rieti, e – ci tiene molto a sottolinearlo per Tempi – di Vladimiro Rinaldi, «un personaggio mitico: comunista orgoglioso ma tenace sostenitore della mia riconferma a presidente della regione per la battaglia che ho fatto sulla cura Di Bella».
LA DIFFIDENZA DEL CAPO
A questo punto è necessario domandare a Storace il motivo per cui le liste dei governatori hanno creato tanto scompiglio nella maggioranza. Mantenendo sullo sfondo questo ragionamento: la Cdl perde progressivamente capacità di mobilitazione elettorale, è stata sconfitta alle recenti consultazioni suppletive per Camera e Senato in cui ha candidato il cardiologo di Bossi e il figlio di un parlamentare morto. L’impressione è che la coalizione soffra d’una carenza di personale politico. Però quando emerge un forte consenso attorno ai nuovi cesari del centrodestra, cioè i governatori che sperimentano alleanze e ampliano i confini della Cdl senza tradirne la ragione sociale, scatta un meccanismo di diffidenza. «Quella di Berlusconi è la diffidenza di uno a cui piace comandare».
Ma queste liste nascono soltanto per strappare voti in più – cosa peraltro sacrosanta – o dietro c’è un progetto ancora frainteso dai partiti? Per Storace il progetto c’è, eccome, e non corrisponde certo a una diserzione di un ipotetico partito dei governatori. «Un partito che non c’è e non ci sarà mai. Tuttavia la Cdl, che ha qualche difficoltà a rapportarsi con il paese, deve capire che non è il momento di chiudersi nell’egoismo dei partiti e delle correnti. La questione è rinviata alle elezioni politiche, ma bisogna aprirsi, allargarsi alla così detta società civile e non solo. I presidenti delle regioni sono in questo senso una risorsa da sfruttare. Non è comprensibile pensare di metterli in condizione di non nuocere».
Un esempio di masochismo che proprio non è piaciuto al governatore del Lazio? «Una delle cose più stupide che ho letto sui giornali è stata l’espressione attribuita a un dirigente di Forza Italia. Avrebbe detto che se Formigoni prende un sacco di voti con una sua lista in Lombardia poi potrebbe reclamare troppi seggi alle politiche. E allora? Qual è il delitto ad attribuire collegi a chi dimostra di avere un così forte consenso? Certe volte bisogna ascoltare autentiche scemenze». A proposito di allargamenti, se Berlusconi facesse cambiare idea alla Mussolini in extremis e la riconducesse nella Cdl? «Se Alessandra cambia idea, da parte mia nessun veto ma è più facile che Berlusconi ottenga da lei un fidanzamento. La sua – prosegue perplesso Storace – è una candidatura concorrente legittima, ma incomprensibile. Certo è che non accetterò un chiarimento se si va alle elezioni in queste condizioni. Se non ci s’intende prima e io vinco, ci si chiederà che senso abbia un accordo con Alessandra Mussolini. Se perdo a causa sua, non è lontanamente immaginabile che ci sia un accordo dopo alle politiche. Mi spiace però che abbia derubricato la nostra vecchia amicizia a semplice frequentazione».
NON FIDATEVI DELLA SWG
Su questo passaggio la voce di Storace s’incupisce, anche perché adesso, con la Mussolini come avversaria, alcuni sondaggi lo danno sotto di 4 punti rispetto allo sfidante ulivista Piero Marrazzo. «Un solo sondaggio mi dà sotto – riprende subito tono – quello di Swg. Ho domandato a una serie di cittadini che affollano le mie manifestazioni: qualcuno di voi è stato raggiunto da un sondaggista dell’Swg, l’istituto preferito da Repubblica? Nessuno alza la mano. Quelli i sondaggi se li fanno in casa, ma francamente anche i sondaggi che commissiono io ogni giorno, e che mi danno largamente in testa, li valuto per ciò che sono, la tendenza di un giorno». Perché in realtà la campagna elettorale di Storace – assicura lui – è bella e concitata, promettente ma davvero imprevedibile nell’esito. Con una sola certezza: Storace è in campagna da cinque anni, «da quando governo», e presenta come argomento di persuasione elettorale il suo personale albo d’oro: «Una crescita del prodotto interno lordo superiore in proporzione a quella di tutte le altre regioni; l’abbattimento disoccupazione dal 12 al 7 per cento; 39 milioni di euro ottenuti dall’Unione europea per le politiche di sviluppo; tre ospedali aperti; un accordo di programma con il governo Berlusconi per la realizzazione di infrastrutture da 6 miliardi e mezzo di euro» e così via. Il tutto non può sfuggire al cittadino laziale, dal momento che è ben impresso sopra il diluvio di manifesti rossi e tricolori con su stampato il suo faccione pensoso oppure frasi trancianti tipo: «Badaloni, Gruber, Marrazzo… la sinistra ha scambiato la regione per l’isola dei famosi».
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