Cento anni fa nasceva Jesse Owens. Ecco la sua storia (e quella della stretta di mano con Hitler)

Di Emmanuele Michela
12 Settembre 2013
L'atleta statunitense era afro-americano, nacque rachitico e figlio di contadini. Gli ori olimpici, il qui pro quo col Fuhrer e l'amicizia col tedesco Luz Long

Per tutti è l’uomo che batté Hitler, la freccia nera che umiliò il Fuhrer a Berlino, in quella passerella che avrebbe consacrato la superiorità ariana sul resto del mondo, anche nello sport. Il medagliere parlava tedesco in quei Giochi Olimpici del 1936, dominati dall’aquila teutonica in ogni disciplina. Eppure, a sorpresa, l’attore più importante dell’evento divenne lui, Jesse Owens, nero, afro-americano, nato rachitico e cresciuto in povertà in una famiglia di mezzadri dell’Alabama. Oggi ricorrono i 100 anni dalla nascita del velocista statunitense, 4 ori in quei Giochi a cinque cerchi e protagonista di una storia sportiva dove talento e volontà battono l’ideologia.

[internal_video vid=118371] LA STRETTA DI MANO DI HITLER. Per tanti decenni la sua vicenda è rimasta legata a quel tributo che Hitler avrebbe mancato di rendergli dopo la vittoria nel salto in lungo. La “mancata stretta di mano” in realtà sappiamo ora essere una leggenda, sorta dopo un bizzarro qui pro quo e cresciuta col lievito di razzismo e odio che il nazismo portava con sé verso una razza considerata inferiore.
Le testimonianze arrivano proprio dal podio di Berlino, dove non riuscì a salire l’italiano Arturo Maffei, arrivato quarto nella gara, ma testimone della discesa del Fuhrer dalla tribuna verso gli atleti vincitori. Hitler andò a congratularsi, raccontò Maffei, e fece il saluto romano a Owens, che allungò la mano con l’intento di stringere quella del Cancelliere del Reich. Quest’ultimo abbassò allora la sua, e proprio in quell’istante l’atleta statunitense, forse memore del saluto tipico dei militari, portò la sua mano alla fronte, sfilandola così dalle congratulazioni del Fuhrer.
Insomma, sembra sia stata solo un’incomprensione dovuta alle diverse culture d’origine. Ed è lo stesso atleta americano che nelle sue memorie descrive l’accaduto: «Dopo essere sceso dal podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d’onore per rientrare negli spogliatoi. Il Cancelliere tedesco mi fissò, si alzò e mi salutò agitando la mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Credo che i giornalisti mostrarono cattivo gusto inventando poi un’ostilità che non ci fu affatto».
Singolare quanto aggiunge Owens, accennando al tanto pregiudizio che anche nei democratici Stati Uniti non gli veniva risparmiato: «Fu piuttosto Franklin Delano Roosevelt che evitò di incontrami. Il presidente non mi inviò nemmeno un telegramma». Tra i due c’era un incontro in programma, che la Casa Bianca cancellò per paura delle reazioni degli elettori bianchi.

L’AMICIZIA CON LUZ LONG. Ma la vera vittoria di Owens su razzismo e ideologia porta diretto al nome di un suo amico, Luz Long: tedesco, atleta del salto in lungo, biondo e altissimo, simbolo della razza ariana, era l’uomo che avrebbe dovuto batterlo dalla pedana. Invece quella che doveva essere una rivalità accentuata dai venti freddi che soffiavano tra le due nazioni, si trasformò in un rapporto di stima e affetto, nato proprio durante i Giochi Olimpici.
Nelle batterie Owens rischiò l’eliminazione dopo due salti nulli, se non fosse stato proprio Long a suggerirgli dove “staccare”. Così riuscì ad arrivare in finale, e qui, un salto dopo l’altro, la competizione tra i due si trasformò in spettacolo. Jesse e Luz continuavano a superarsi. Fino all’ultima rincorsa: Owens andò più lungo di tutti, sfilando la medaglia d’oro dal collo di Long. «Mi ricordo che, nell’istante in cui toccai terra dopo il mio salto finale, Luz mi fu a fianco per congratularsi con me. Nonostante Hitler ci fulminasse con gli occhi dalla tribuna a non più di un centinaio di metri, Luz mi strinse fortemente la mano: e la sua non era certo la stretta di mano di uno che vi sorride con la morte nel cuore. Si potrebbero fondere tutte le medaglie e le coppe d’oro che ho e non servirebbero a placcare in oro a 24 carati l’amicizia che sentii per Luz Long in quel momento».

LONG È MORTO IN GUERRA. Tornato in America Owens passò al professionismo, si dedicò alle esibizioni contro cavalli purosangue per tirare su qualche soldo di cui vivere. L’amicizia con Long rimase salda: si scrivevano spesso, nonostante i loro due Paesi si allontanassero sempre di più. Con lo scoppio della guerra, Luz fu reclutato nella Lutwaffe, finì a combattere in Italia e nel ’43 morì in Sicilia. Dopo l’armistizio, Owens volerà in Germania più volte, per incontrare la moglie e i figli di Long.

@LeleMichela

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2 commenti

  1. Giulio Dante Guerra

    Qualcuno saprebbe controllare la verità o meno d’una notizia, che ricordo d’aver letto, non ricordo più dove, parecchi anni fa? Che, subito dopo la vittoria di Owens nei 100 metri piani, tutti i giornali tedeschi ricevettero, dal ministero della propaganda, una “velina”, che dava una “spiegazione scientifica” (in realtà, una “bufala” tipicamente darwiniana) di quella vittoria: che i “negri” correvano più velocemente degli “ariani”, perché, incapaci per “deficienza intellettuale” di inventare armi adatte ad affrontare con coraggio le belve africane, erano sopravvissuti alla “selezione naturale” solo quelli di loro riusciti a sopravvivere con la fuga; mentre gli “ariani”, molto più intelligenti, avevano saputo ben presto costruire armi, con cui difendersi da lupi ed orsi, così da non aver bisogno di divenire velocissimi nella corsa… Ovvero: accoppiando razzismo e daewinismo, l’ideologia riusciva a dimostrare tutto e il contrario di tutto!

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