L’evoluzione del #metoo è la denuncia anonima e crittografata

Di Caterina Giojelli
29 Settembre 2018
Sono dozzine le app progettate per «aiutarti a stare al sicuro». Basta inviare segnalazioni di abusi, violenze e molestie e costruire casellari con un clic. Tanto tutto avviene nell'anonimato

Siccome non esistono luoghi sicuri sulla terra, ecco i safe space della rete. La naturale evoluzione del #metoo che sbatte il mostro dietro il cancelletto non poteva che essere il buen retiro virtuale, dal quale denunciare in forma anonima e con crittografia end-to-end abusi, molestie e cattive condotte sessuali. Sono dozzine le app progettate per «aiutarti a stare al sicuro», come riporta JDoe, la piattaforma di reporting anonimo e crittografato disponibile su iOS e Android.

LA CRITTOGRAFIA. “Together we are loud”, vengono accolti così i JDoe, ossia i sopravvissuti o i testimoni di abusi e molestie che grazie all’app possono: condividere i propri racconti e identificare i recidivi (l’unione tra querelanti fa la forza anche in tribunale); avere un accesso diretto ad avvocati, pm o autorità che hanno a cuore l’interesse delle vittime (nel mondo reale la paura di non essere creduti prende il sopravvento); garantire il completo controllo dei dati dei denuncianti. L’app infatti non invierà alcuna segnalazione senza consenso degli utenti, «i nostri algoritmi di crittografia garantiscono la tua privacy. Anche se obbligato a farlo da un mandato, JDoe non sarebbe in grado di leggere i tuoi dati e consegnarli».

LE MAPPE DEGLI “INCIDENTI”. JDoe fornisce anche una mappatura delle segnalazioni e ti avvisa quando stai per entrare in un’area geografica, un quartiere o un posto dove sono fioccati avvisi di “incidenti”. Il database viene aggiornato costantemente e denunciare è facile grazie all’indicizzazione dei comportamenti sessuali perseguibili a norma di legge. C’è anche la presentazione del team che lavora dietro le quinte, composto per lo più da ingegneri con la missione di cambiare radicalmente la lotta allo stupro, alle molestie, agli abusi, evitando il trauma della denuncia. In poche parole di combattere il corpo a corpo ed evitare i faccia a faccia con la forza del profilo virtuale.

DAI CAMPUS ALLA SILICON VALLEY. A qualcosa di simile aveva già pensato Callisto, l’app più in voga nei campus americani che punta a sbarcare ora anche nel settore tecnologico per consentire ai fondatori delle startup tecnologiche della Silicon Valley di segnalare molestie e abusi da parte degli investitori. Il successo di Callisto, che al suo debutto nel 2015 ha incontrato l’entusiastica adesione di 13 università tra cui tra cui Stanford, l’università dell’Oregon e la St. John’s University e che ora supporta 149 mila studenti, si basa sulla redazione e salvataggio di un report dettagliato che l’utente può inviare immediatamente alle autorità del campus, stampare e consegnare alla polizia, oppure tenere “in sospeso” fino a quando si sentirà pronto (la media è di 11 mesi). O ancora può decidere di segnalare il profilo Facebook dell’accusato, e di far scattare la segnalazione se e solo se lo stesso profilo viene segnalato da altri studenti (opzione matching).
Ma un sistema del genere può autoregolamentarsi e distinguere abuso del mezzo dall’abuso reale? Esistono anche app più “professionali” di supporto specificamente legale, altre che aiutano le vittime a salvare e condividere informazioni mediche rilevanti in caso di aggressione. L’app Uask include un “pulsante antipanico” che connette gli utenti al 911 o consente alle persone di inviare messaggi di emergenza con la loro posizione.

L’AGONIA DI CHRISTINE. Di tutto questo si sta parlando in un’America partecipe dell’“agonia” patita da Christine Blasey Ford per decidere di accusare di molestie (per un episodio accaduto 35 anni fa) il candidato alla Corte Suprema Brett M. Kavanaugh. Un’agonia raccontata davanti alla Commissione Giustizia del Senato e che gli sviluppatori delle app non augurano a nessuno. Non siamo né giudici, né giurie, e quello dovremmo leggere tra le righe della policy dei nuovi safe space virtuali che riportano a caratteri cubitali statistiche come “1 ragazza su 4 e 1 ragazzo su 6 sono vittime di abusi sessuali” o “il 54 per cento dei dipendenti è molestato sessualmente”, “Viene segnalato solo il 7-13 per cento” delle aggressioni e “solo il 25 per cento” delle molestie. Allora perché questo “Together we are loud”  che s’alza da un labirinto di algoritmi, crittografia, anonimato, messaggistica, alert, mappature, connessioni, suona tanto come un verdetto?

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