
Iva al 22 per cento. Esselunga, Coop, Ikea e Cruciani pagano l’aumento. «Spremere i consumatori è controproducente»
Da oggi scatta l’aumento dell’Iva dal 21 al 22 per cento. L’imposta sul valore aggiunto, un balzello il cui costo normalmente incide negativamente sui consumi e grava sulle tasche dei consumatori, era già aumentata dal 20 al 21 per cento nel settembre 2011 dal governo Monti. Oggi come allora Esselunga ha deciso di assumersene ancora una volta l’onere, pagandola in prima persona per i suoi clienti. La catena di supermercati guidata da Bernardo Caprotti ha infatti spiegato in un comunicato di aver deciso di non scaricare sui clienti l’aumento dell’Iva che interessa il 30 per cento dei suoi prodotti al fine di tutelare il potere d’acquisto.
PRESSIONI SULLE FAMIGLIE. Nel comunicato si legge: «Esselunga non modificherà la propria politica commerciale volta al contenimento dei prezzi, neppure a fronte della recente normativa che prevede l’incremento dell’Iva di un punto percentuale su determinate merceologie (30% del totale)». L’aumento «è l’ultimo di una serie di forti pressioni economiche che ricadono sulle famiglie, alle quali Esselunga ha da sempre risposto ritardandone e limitandone l’applicazione, al fine di salvaguardare il potere d’acquisto dei clienti. Coerentemente con tale politica, e consapevole delle difficoltà che i propri clienti stanno attraversando, Esselunga ha deciso di non riversare su di loro neppure questo aumento dell’Iva, come in analoga occasione nel settembre 2011».
SPREMERE I CONSUMATORI. Ma Caprotti ed Esselunga non sono gli unici: anche Ikea, Coop e Cruciani hanno deciso di partecipare in qualche misura a pagare il costo del nuovo balzello. Negli store Ikea di tutta Italia l’aumento dell’imposta dal 21 al 22 per cento non avrà impatto sul prezzo dei prodotti del gruppo svedese. Coop «opererà per limitare gli effetti dell’aumento dell’Iva e chiederà ai propri fornitori di collaborare al medesimo obiettivo nell’interesse delle famiglie».
E Luca Caprai, fondatore di Cruciani, il brand divenuto famoso per i suoi braccialetti in pizzo, ha deciso che «non aumenteremo i nostri listini né del 3 né del 2 e nemmeno dell’1 per cento». Perché «continuare a spremere i consumatori in questo modo può essere controproducente così come lo è stato l’ultimo aumento dell’Iva».
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2 commenti
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Assorbire l’aumento dell’iva da parte delle imprese, tenendo invariati i prezzi, significa per loro una riduzione dello 0,85% dei ricavi, ovvio che, se tale calo è inferiore a quello che deriverebbe dal calo degli acquisti per aumento dei precci, preferiscano tale politica.
Quindi poi pagheranno meno tasse, per cui l’aumento dell’iva per far cassa servirà veramente? Boh!