Italia, troppo pochi scienziati ed ingegneri

Di Rodolfo Casadei
09 Gennaio 2003
Se è vero, come dicono gli anglosassoni, che siamo entrati nel millennio della knowledge economy e della knowledge society

Se è vero, come dicono gli anglosassoni, che siamo entrati nel millennio della knowledge economy e della knowledge society, cioè di sistemi economici e complessi sociali fondati sulla qualità del sapere di cittadini e operatori economici, l’Italia può cominciare a piangere: per quel che riguarda i laureati in materie scientifiche e tecniche – elementi centrali di qualunque “economia del sapere”- siamo terz’ultimi all’interno dell’Unione Europea (Ue) e stiamo addirittura peggio della metà dei “paesi dell’allargamento”. A pronunciare questa amara verità è l’European Innovation Scoreboard 2002, cioè la classifica europea degli indicatori di innovazione pubblicata dalla Commissione europea. In quasi tutte le 17 tabelle statistiche l’Italia arranca vistosamente, ma quella sui laureati nelle materie scientifiche e tecniche è particolarmente preoccupante: mentre la media Ue dei giovani fra i 20 ed i 29 anni laureati in queste materie è del 10,3 per mille, in Italia arriviamo appena al 5,6. Peggio di noi fanno solo i greci col 3,6 ed i lussemburghesi con l’1,8. Mentre ci ritroviamo a distanza siderale dagli irlandesi (23,2 per mille) e da britannici, finlandesi e francesi, tutti compresi fra il 16 ed il 19.
Certo, la statistica comprende anche diplomi post-secondari di un solo anno, poco diffusi in Italia, paese dove le lauree brevi sono state introdotte da non molto tempo, e perciò si può ritenere che i dati dei vari paesi non siano veramente comparabili. Ma forse sarebbe più saggio dare il giusto peso ad un evidente campanello di allarme.

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