Italia deglobalizzata grazie all’Ulivo

Di Rodolfo Casadei
21 Febbraio 2002
Vuoi vedere che siamo riusciti a scoprire la misteriosa ragione dell’insana attrazione della sinistra italiana per il movimento no global?

Vuoi vedere che siamo riusciti a scoprire la misteriosa ragione dell’insana attrazione della sinistra italiana per il movimento no global? Possibile che gente di mondo come Fassino, Rutelli, D’Alema, ecc. strizzi l’occhio alla combriccola di Casarini, Agnoletto, don Vitaliano, Jovanotti e Beppe Grillo? Possibile sì, perché fallito il tentativo di appropriazione, l’oggetto del desiderio diventa oggetto di critiche e distinguo. E il fallimento è questo: nel 2000, ultimo anno intero di regno del governo di centro-sinistra, l’Italia ha fatto un poderoso balzo all’indietro nella classifica mondiale dei paesi più globalizzati: era 13ma su 20 paesi alla fine del 1999, è 24ma su 62 paesi nella successiva edizione, superata da tutti e 7 i paesi che le erano dietro più altri 4. La classifica in questione è una cosa seria, stilata dalla società internazionale di consulenza aziendale A.T. Kearney e da Foreign Policy, prestigioso trimestrale americano di politica estera che pende a sinistra. Per formulare il loro “Indice di globalizzazione” A.T. Kearney e Foreign Policy si valgono di una serie di indicatori la cui incidenza dovrebbe certificare il tasso di integrazione (non solo economica) al sistema mondiale: il commercio con l’estero, gli investimenti diretti dall’estero, i viaggi internazionali, i flussi turistici, le telefonate internazionali, il numero di utenti Internet e di Internet host, la partecipazione a organismi internazionali e a missioni di pace Onu, ecc. L’Italia ha perso undici posizioni fra la prima e la seconda edizione dell’Indice (pubblicata nel gennaio scorso coi dati del 2000) a causa del crollo degli investimenti esteri in Italia nell’ultimo anno intero di governo dell’Ulivo. La classifica smentisce alcuni luoghi comuni no global, come quello secondo cui la globalizzazione accentua le diseguaglianze all’interno di un paese: le cose stanno esattamente al contrario, i paesi con alti tassi di diseguaglianza (Perù, Colombia, Indonesia, Brasile) stanno in fondo alla classifica, queli più egualitari stanno in cima.

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