
Il tormento di una madre nel silenzio del kibbutz

Angelica Calò Livnè, autrice di questa lettera, è educatrice, regista e scrittrice ebrea italo-israeliana. Vive nel kibbutz Sasa, in Alta Galilea, dove ha creato la Fondazione Beresheet LaShalom – Un inizio per la pace. In collaborazione con Tempi ha scritto il libro Un sì, un inizio, una speranza (2002).
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2 novembre 2023. La sala da pranzo di Sasa, 600 posti a sedere, è silenziosa. Siamo solo in 40: i bambini prima di tutti, poi il resto del kibbuz è stato evacuato. Ognuno prende il suo vassoio, lo riempie senza curarsi di cosa sia entrato nel piatto e quando lo sguardo incontra un altro sguardo dice sommessamente “Shalom” e ritorna nel proprio silenzio.
Le immagini del massacro non ci danno pace, il pensiero dei nostri figli che combattono strenuamente all’inseguimento delle belve ci attanaglia il cuore e i cerchi grigi sotto agli occhi denunciano le notti insonni di padri, madri, figli e mogli che hanno trascorso un’altra notte tormentata. È trascorso quasi un mese, quanti anni dovranno passare prima che i bambini ai quali hanno trucidato i genitori davanti agli occhi potranno riprendersi? Prima che quegli uomini ai quali hanno violentato la donna amata davanti agli occhi potranno riprendersi, prima che tutti noi in prima linea e il resto del mondo potremo risvegliarci da questa angoscia?
Genitori in guerra e kibbutz della pace rasi al suolo
Un esercito di psicologi, assistenti sociali accompagnano la popolazione israeliana. Un bambino che parla, a due anni, già capisce cosa sta succedendo intorno a lui. La televisione, i social continuano a mostrare attività, giochi, video di cartoni animati che rassicurano, rasserenano, divertono i bambini che non capiscono perché il papà o la mamma non sono in casa da piu di tre settimane. Perché si sono vestiti da soldati? A noi non piacciono le guerre, perché hanno ritirato fuori il fucile che era da tempo nascosto nell’armadio? Perché ci sono i cattivi al mondo? Perché non c’è nessuna fata che ci riporta la nonna, lo zio o la fidanzata del fratello? L’università riaprirà il 5 novembre, no, il 15, no, forse il 3 dicembre, forse solo via zoom o forse quest’anno non aprirà perché docenti e studenti sono al fronte, o sono tra i rapiti, o forse non ci sono più.
E i corsi che erano pronti, strutturati, ricchi come al solito sono diventati irrilevanti: ora si deve parlare di resilienza, del “senso della vita”, di speranza. Di ricostruzione. Nel frattempo cogliamo le mele al frutteto. Insieme ai nostri vicini, amici dei villaggi arabi circostanti, abbiamo già salvato un terzo del raccolto. Raccogliamo indumenti per le famiglie che alle 6.30 del mattino sono riuscite a scappare, ancora in pigiama e che della propria casa non è rimasto che un cumulo di macerie. E sto parlando di Israele, sto parlando dei kibbuzim e dei villaggi, piu di 40, rasi al suolo. Villaggi dove abitavano attivisti per la pace, quelli che da sempre combattono e manifestano per la cooperazione con i palestinesi, quelli che davano loro lavoro, quelli che ogni giorno andavano volontari a trasportarli con la loro auto a fare la chemio o la dialisi negli ospedali israeliani.
Hamas, bestie immonde
Sto parlando dell’Israele piu progressista. Più splendente di luce, l’Israele della multi cultura, del rispetto per ogni fede e per ogni essere umano. Quegli esseri immondi che hanno varcato il confine cercando di distruggere ogni speranza di vita insieme a noi, sono stati capaci di entrare all’alba in una casa, in cento case, di mettere il neonato di tre mesi nel forno dove si fanno le torte, violentare la madre davanti al figlio, spaccargli la testa e portare via il padre in ostaggio. E ora il mondo deplora Israele perché li sta stanando nelle loro tane? Coperti e protetti da un muro di bambini palestinesi inermi?
Non è Angelica quella che scrive… è una donna, una madre disperata che continua a credere con tutta se stessa che c’è ancora speranza, ma che il male si deve estirpare, e che D. protegga i rapiti, i combattenti con la stella di David, eroi che vogliono solo continuare a curare questo giardino meraviglioso che abbiamo coltivato, piantato e risvegliato alla vita.
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