
Israele bombarda i villaggi cristiani in Libano. «Anche noi frati in fuga»

«Le bombe israeliane sono arrivate anche sui villaggi cristiani del sud del Libano. Deir Mimas, a poche centinaia di metri dal confine, è svuotata. Anche noi abbiamo dovuto abbandonare il convento». Ha la voce pesante e affaticata fra Toufic Bou Merhi, mentre parla con Tempi. Il frate francescano della Custodia di Terra Santa, che da oltre una settimana ospitava centinaia di musulmani, 38 famiglie in tutto, nel convento di San Giovanni da Padova, a Tiro, è scappato insieme a tutti gli altri abitanti a Beirut.
La città costiera del sud, che dista 88 chilometri dalla capitale, assomiglia ormai a un deserto. Tutti, musulmani e cristiani, sono fuggiti dopo essere stati bersagliati dai raid israeliani e dopo che l’esercito dello Stato ebraico ha iniziato l’invasione «limitata» di terra del Libano.
L’obiettivo minimo è neutralizzare i terroristi di Hezbollah, che dall’8 ottobre bersagliano dal sud del paese dei cedri Israele, costringendo 60 mila persone ad abbandonare le proprie case nell’Alta Galilea. Molti libanesi temono però che l’operazione ricalchi quella del 1982: anche allora fu definita «limitata», ma portò a 18 anni di occupazione.
In risposta all’invasione e all’uccisione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ieri l’Iran ha attaccato Israele con il lancio di oltre 180 missili, causando due feriti.
I cristiani abbandonano Deir Mimas
Anche Deir Mimas, il villaggio interamente cristiano del quale “abouna” Toufic (così lo chiamano tutti) si occupava sulle montagne che si affacciano sul fiume Litani, la linea dietro alla quale Tel Aviv vuole ricacciare i miliziani di Hezbollah, è stato colpito dai bombardamenti.
I cristiani hanno ricevuto lo stesso avviso di altri 30 villaggi del sud del Libano: «Le Forze di difesa israeliane non vogliono farvi del male e per la vostra sicurezza dovete evacuare immediatamente le vostre case. Chiunque resta di fianco agli agenti di Hezbollah mette la sua vita in pericolo. Ogni casa utilizzata da Hezbollah per le sue necessità militari sarà probabilmente colpita».
«Non siamo qui per fare gli eroi»
Abouna Toufic ha abbandonato il convento di Tiro con la morte nel cuore lunedì pomeriggio. Gli abitanti del quartiere musulmano dove sorge la struttura religiosa erano già tutti scappati. «Ho detto al mio confratello: “Non siamo qui per fare gli eroi né per custodire le pietre. Se non c’è più bisogno di noi, se tutti se ne sono andati, partiamo anche noi. Saremo più utili a Beirut”», racconta a Tempi.
Il parroco di Tiro ha preso solo «il necessario», le reliquie e il Santissimo Sacramento, e in macchina ha raggiunto la capitale. Nella notte anche il villaggio di Deir Mimas è stato colpito dai raid e gli abitanti sono fuggiti: «Ho seguito al telefono la fuga dei miei parrocchiani», spiega. «Si sono divisi in tanti gruppi di auto ma non è stato facile, perché anche le macchine sono state prese di mira e la strada per Beirut bombardata. Per fortuna sono arrivati tutti sani e salvi».

La strage di civili a Tiro
La stessa fortuna non l’hanno avuta i residenti del quartiere musulmano di Tiro che sabato 28 settembre sono stati colpiti da un missile. L’ordigno è caduto a 50 metri dal convento, che già ospitava decine di civili terrorizzati, colpendo nove case e uccidendo 12 persone. «È stato terribile», ricorda il frate francescano. «Il convento ha tremato, sono cadute le pietre e due bambini sono rimasti feriti. Io sono uscito dal convento per invitare tutti coloro che erano fuori a rientrare. Ho visto portare i morti e i feriti del bombardamento sulle barelle e gli ho aperto le porte della chiesa».
Una delle vittime, Abbas, aveva appena promesso agli sfollati nel convento di portare loro «una buona colazione e tutti la aspettavano». Ha mandato il figlio a comprare l’occorrente, mentre lui era andato dal padre per pranzare insieme ai suoi fratelli. «L’uomo è morto nel bombardamento, il figlio si è salvato», continua abouna Toufic. «Gli sfollati mi chiedevano: “Dov’è la nostra buona colazione?”. E io non sapevo cosa rispondere».
«Carissima bomba, lasciaci in pace»
Continua il parroco di Tiro: «Un’altra famiglia intera è stata completamente spazzata via dai raid: nonno, nonna, figli con mogli e una bambina di un anno e mezzo. È rimasta viva solo Sila, sei anni: al mondo non le è rimasto nessuno». La notte dell’attacco abouna Toufic non ha dormito, ma ha composto una preghiera che ha letto alla messa del mattino successivo:
«Carissima bomba, ti prego, lasciaci in pace. Carissimo razzo, non esplodere. Non obbedite alla mano dell’odio. Vi esorto perché le altre orecchie si sono tappate e i cuori dei responsabili si sono induriti. Quindi, ascoltatemi voi, vi supplico. Vi chiamano bombe intelligenti, siate più intelligenti di quelli che vi stanno usando. Non c’è rimasto nessuno da ammazzare. Famiglie sterminate. Basta, basta! Ma a chi grido? Al Signore? Lui non c’entra con l’odio, Lui ha creato l’amore, ma l’uomo l’ha rifiutato. Qual è il nostro peccato, tale da meritare una punizione così grave? Forse l’unico nostro peccato è questa terra benedetta dal Signore e profanata dall’uomo. La nostra colpa è essere nati in questo paese che soffre da oltre 50 anni, pagando il prezzo per gli altri».
La vera anima del Libano
Il frate francescano non vuole parlare di politica, però ci tiene a sottolineare l’esperienza fatta a Tiro nell’accoglienza agli sfollati musulmani: «Questi giorni mi resteranno nel cuore. Abbiamo vissuto insieme, come fratelli. Il nostro paese è entrato nel dizionario francese: “libanesizzare” significa ormai disgregare. Ma noi non siamo disgregati: i politici vogliono dividerci, ma la povertà e la miseria ci uniscono. Noi non rinunceremo alla fraternità. Voglio gridarlo: la guerra non produce niente! Chi ha a cuore oggi l’umanità delle persone?».
Ora che abouna Toufic è scappato a Beirut, sfollato tra gli sfollati, il lavoro non è finito: «Lunedì pensavo di dormire. Invece ho seguito la sorte dei cristiani di Deir Mimas. Qui nella capitale vivono ammassati in quattro famiglie in una casa. Cercherò un modo per aiutarli». Sempre facendo affidamento su una sola cosa: «Usciremo da questo incubo solo grazie all’intercessione del Signore. Preghiamo, dunque, che tutto questo finisca».
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