
C’è un islam che non è tutto fatwa e jihad. In Siria, per esempio

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Il musulmano errante è un libro poetico, narra una storia molto antica e misteriosa, quella della setta islamica degli alawiti, fondata nel IX secolo dal profeta Muhammad ibn Nusayr, accessibile a pochi iniziati, perseguitata per secoli e attualmente al potere in Siria con la dinastia degli Assad. Alberto Negri, inviato speciale del Sole 24 Ore, ne scrive per la prima volta illuminando così le radici storiche del conflitto in Siria.
Di islam si parla continuamente, ma pochi conoscono davvero la realtà islamica.
Uno degli aspetti che colpiscono in questi decenni è la falsa rappresentazione monolitica dell’islam fornita dai fondamentalisti islamici. Nel libro si capisce abbastanza bene che in realtà l’islam ha molti volti, anche contraddittori tra di loro: non vi sono solo sciiti e sunniti. Il caso degli alawiti è sintomatico: non appartengono né allo sciismo né al sunnismo, anche se tendevano a nasconderlo; Alì per loro è una divinità, la reincarnazione di Dio, Maometto è il suo profeta; credono nella trasmigrazione delle anime; non praticano i cinque pilastri dell’islam e non pregano in moschea.
Nel libro lei parla anche di altre sètte.
Sì, nel corso di mille anni di storia dell’islam, le sètte sono state tante. Alcune sono scomparse, altre sono sopravvissute, come gli alawiti o gli aleviti in Turchia. Per scampare alle persecuzioni si allontanarono dalle città rifugiandosi sulle montagne, nelle zone più impervie, spesso finendo ai margini della storia ma anche impadronendosene. La vicenda degli alawiti è eclatante da questo punto di vista: la setta, sconosciuta non solo agli occidentali, ma anche ai musulmani, salì clamorosamente al potere nel 1971 con gli Assad, un caso unico nel mondo islamico. Ci sono anche gli zaiditi, sostenuti dall’Iran in quanto ritenuti sciiti, pur non essendolo: appartengono a una setta del settimo secolo che si affermò in Yemen e che per oltre novecento anni lo mantenne isolato dal mondo. Nel 1960, poco prima che Pasolini vi girasse Le mille e una notte, in quel paese meraviglioso non esisteva nemmeno la radio, era proibita. Ma non solo le minoranze musulmane: negli ultimi anni anche altri gruppi religiosi di cui non si è mai parlato sono saliti alla ribalta, proprio a causa delle presecuzioni sanguinose dell’Isis. È il caso degli yazidi, con quel simbolo meraviglioso, il pavone, che affonda le radici in migliaia di anni di storia. Poi i sabei e i mandei, altri rami delle minoranze mediorientali che hanno sempre vissuto lungo il Tigri e l’Eufrate, dall’Iraq all’Iran. Nel mio libro racconto l’incontro con i sabei a Baghdad poco prima che cominciasse la guerra del 2003. Per non parlare degli zoroastriani, che sono ancora presenti all’interno della realtà iraniana, o dei drusi discendenti di Pitagora.
E i cristiani.
Certo. Sono una minoranza consistente in Siria e in Iraq. Alla vigilia della guerra contro Saddam erano 1,2 milioni. Una volta visitai un orfanotrofio dove le suore di Madre Teresa accudivano i bambini con gravi malformazioni. Iniziarono i bombardamenti ed erano spaventosi. Grandi fragori e lampi di giorno e di notte. Le suore per non spaventare i bambini dicevano loro che era iniziata una festa con fuochi artificiali in onore di Saddam.
Perché ha studiato le minoranze del Medio Oriente?
Da come sono trattate le minoranze, spesso si capisce com’è il resto della società intorno, che tipo di regime c’è, qual è il livello reale della tolleranza. Nelle sue epoche d’oro l’islam era aperto. Il Medio Oriente per tradizione è sempre stato il raccoglitore di tutte le minoranze, religiose ma anche filosofiche: non molto tempo prima che l’islam si diffondesse in Iran, gli ultimi nove filosofi neoplatonici scapparono da Atene per rifugiarsi proprio lì. Le minoranze sono le spezie che rendono più interessante il piatto mediorientale. In trentasette anni di viaggi nella regione, ho incontrato tante civiltà diverse, mondi vari e misteriosi. Nel libro cerco di restituire questa storia.
Ma oggi le minoranze fuggono da quei paesi.
Per via del fondamentalismo islamico. I periodi di massima intolleranza coincidono con quelli di maggiore arretratezza. È ciò a cui stiamo assistendo oggi: si sono fatti strada nel mondo islamico il fanatismo religioso e il declino culturale, e gli interventi occidentali hanno reso questo processo ancora più disastroso. Gli stessi alawiti per essere accettati cambiarono le pratiche della loro religione. Furono gli ayatollah, saliti al potere con la rivoluzione in Iran, a dichiararli ufficialmente sciiti nel 1973, con l’intervento dell’imam Musa al-Sadr, un personaggio affascinante, coltissimo, il primo religioso sciita a scrivere di filosofia per Le Monde. Hafiz al-Assad, padre di Bashar, ne aveva disperatamente bisogno: per legittimarsi aveva dovuto stabilire per legge che il presidente della Siria poteva non essere musulmano, provocando la sollevazione della popolazione sunnita. Ecco perché gli Assad sono ancora alleati di ferro di Teheran. Religione e politica nell’islam si intrecciano, una legittima l’altra.
Chi è “il musulmano errante”?
Il musulmano errante nasce in un momento di folgorazione dopo tanti anni di viaggi. I musulmani cercano un modus vivendi non solo in rapporto con l’Occidente ma anche all’interno del proprio mondo. Devono fare i conti con la modernità e ricostruire per la propria storia, rielaborarla, impresa non facile come dimostrano i contrasti e il malessere attuali.
Nel libro lei parla di una figura molto tormentata, Soleyman Effendi. È lui il musulmano errante?
Soleyman incarna tutta la complessità dell’erranza, sempre alla ricerca della fede e della verità, implacabile. Nacque alawita, si convertì all’islam sunnita, all’ebraismo, al cristianesimo ortodosso, quindi si fece anglicano per tornare in seguito cristiano ortodosso e poi di nuovo semplicemente sé. Parlava moltissime lingue ed era considerato un eretico. Fu lui a pubblicare nel 1863 uno dei libri iniziatici di Al-Khasibi, il grande codificatore della dottrina alawita, che sarebbe dovuto rimanere nascosto. Quando Al-Khasibi morì, nel 969, i suoi seguaci scrutarono tutta la notte il cielo di Aleppo convinti che la sua anima fosse diventata una stella della Via Lattea. Soleyman percorse in prima persona tutto quel mondo che io stesso ho visto. Passò da una religione all’altra, del resto in noi coesistono tanti aspetti che formano un unicum, un grande quadro impossibile da visualizzare in ogni suo risvolto.
Errante anche lei.
Sì, errante anche io, in viaggio, esposto a nuove verità che possono essere in contraddizione con quella che ho vissuto precedentemente ma che non per questo respingo. Ho sempre voluto scrivere un’altra versione della storia, estrarre pezzi di verità tentando di metterli insieme per restituire un affresco che rispecchi il più possibile quello con cui sono entrato in contatto. Scrivo ogni volta la stessa storia da capo, aggiungendo nuovi particolari.
Foto Ansa
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