Anche la sinistra francese si accorge che l’islam è un problema nelle scuole

Di Mauro Zanon
10 Ottobre 2022
Il ministro dell'Istruzione Pap Ndiaye, idolo dei progressisti, si dice preoccupato dai segnali crescenti della radicalizzazione islamista tra i ragazzi musulmani
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Il ministro dell'Istruzione francese, Pap Ndiaye, con il presidente Emmanuel Macron (foto Ansa)

Parigi. «È vero che da un anno a questa parte il numero di segnalazioni relative agli abiti cosiddetti islamici è in aumento. È il famoso fenomeno delle abaya». A pronunciare queste parole non è il solito “reazionario allarmista”, come vengono bollati tutti coloro che da vent’anni a questa parte cercano di dare una scossa all’opinione pubblica sul problema dell’islamizzazione della società, bensì il ministro dell’Istruzione francese e santino dei progressisti Pap Ndiaye.

L’incursione dell’islam politico a scuola

Martedì mattina, su France 2, ossia sul più importante canale della televisione pubblica francese, il titolare dell’Éducation nationale ha deciso finalmente di affrontare un tema che era ancora tabù fino a pochi mesi fa: l’incursione dell’islam politico tra i banchi di scuola sotto varie forme. Il fenomeno delle abaya, sopravveste femminile lunga fino a piedi e perlopiù di colore scuro, indossata principalmente nei paesi del Golfo, e il qamis, i lunghi abiti tradizionali islamici utilizzati dagli uomini, si sta imponendo come uno dei fenomeni più inquietanti della società francese, spingendo anche chi predicava “prudenza” (lo stesso Pap Ndiaye) a invocare un giro di vite contro gli agit-prop dell’islamismo.

Il ministro dell’Istruzione ha parlato espressamente di «agitatori professionisti, che non vogliono né il bene della scuola, né il bene della Repubblica. Non siamo ingenui a questo proposito. Dobbiamo applicare con fermezza la legge del 2004 (la legge imposta ai tempi di Chirac alla presidenza delle Repubblica che vieta l’uso di simboli religiosi all’interno di scuole e licei pubblici). Sulla scia di Pap Ndiaye, anche la segretaria di Stato con delega alla Cittadinanza, Sonia Backès, ha parlato senza ambiguità del fenomeno degli abiti islamici a scuola e delle sue derive. «Quando non si è di religione musulmana si indossano per caso delle abaya? La risposta è no (…). Certo che le abaya sono dei segni religiosi. Quelle che le indossano lo fanno per provocare», ha affermato su France Info.

La nota ufficiale contro la radicalizzazione

Backès, che ha preso il posto di Marlène Schiappa accanto al ministro dell’Interno Gérald Darmanin, ha ribadito a sua volta l’obbligo di rispettare la legge del 2004, opponendosi a qualsiasi “tolleranza” o deroga. La scintilla che ha spinto il governo a reagire pubblicamente è stata la nota del Comitato interministeriale per la prevenzione della delinquenza e della radicalizzazione (Cipdr), che a fine agosto ha manifestato la sua inquietudine per le ripetute violazioni della laicità a scuola da parte di musulmane e musulmani.

La nota, resa pubblica dall’Express, segnalava tra le altre cose una recrudescenza dei discorsi islamisti sui social network, che mettevano in discussione i contenuti del testo legislativo del 2004. Il 16 settembre, il ministro dell’Istruzione ha invitato tutti i dirigenti scolastici ad alzare il livello di vigilanza sull’uso di «indumenti che manifestano in maniera ostentata un’appartenenza religiosa». La missiva mandata da Pap Ndiaye parlava apertamente di abaya e qamis, «indossati abitualmente nelle moschee»: «Gli alunni, e talvolta le loro famiglie, negano frequentemente qualsiasi dimensione religiosa, mettendo in avanti il loro carattere culturale. Ma questi discorsi possono in realtà nascondere una volontà di aggirare la legge».

Minacce ai professori e radicalizzazione islamista

Lo scorso settembre, i poliziotti hanno fermato un giovane che minacciava un’insegnante del liceo Simone-Weil, nel Terzo arrondissement di Parigi, perché quest’ultima aveva chiesto a sua sorella di togliere il velo durante una gita scolastica (obbligatorio per legge). A giugno, presso il prestigioso liceo Charlemagne, nel Quarto arrondissement, è scoppiata una lite per lo stesso motivo tra una funzionaria e un’adolescente che si rifiutava di ritirare il velo per sostenere l’esame di maturità.

La prima, minacciata di morte, ha deciso di sporgere denuncia. Al collège Condorcet, due giovani, di recente, hanno tentato di entrare in classe in qamis: il preside ha deciso di escluderli per otto giorni. «Noto una vera e propria recrudescenza dei problemi legati agli abiti religiosi, soprattutto da due-tre anni a questa parte», ha testimoniato al Figaro una professoressa di un liceo della banlieue parigina. «Lungi da me l’idea di generalizzare. Ma ci sono allievi in fase di radicalizzazione e che tendono a comportarsi da censori nei confronti degli altri sul piano della religione musulmana, che verificano e che denunciano. Lo osservo sia in classe sia sui social network».

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