
A isabella non piace
Uno dei suoi libri, pubblicato in Italia presso la Mursia col titolo “Frammenti di Isabella. Memorie di Auschiwitz”, ha ricevuto una nomination per il premio Pulitzer. L’autrice si chiama Isabella Leitner ed è una donnina tozza e forte, come tutte le donne che l’hanno preceduta nella sua stirpe di contadini, viaggiatori e piccoli commercianti ebrei ungheresi. Donne che non hanno mai avuto paura a parlare, anche se Auschwitz ha cercato di trasformarla in un numero della Shoa e le ha impresso nella pelle un tatuaggio, per gettarla tra i milioni di morti dei forni del lager, se non fosse arrivato il ’45. Ed è proprio in nome di quella verità che Isabella ha voglia di urlare mentre stringe tra le mani la copia del New York Times sulla quale appare la pubblicità de “La vita è bella”, il sorriso trionfante di Benigni e tutte le belle stellette messe in fila a rappresentare le sette nomination. Isabella ci mostra l’annuncio del film e ci fa cenno di leggerne qualche riga: “Un film indimenticabile che dimostra che l’amore, la famiglia e l’immaginazione possono conquistare tutto”. “L’immaginazione? Ma io ci sono stata ad Auschwitz, prigioniera sotto Joseph Mengele. Ricorda? Lo chiamavano l’angelo della morte. Con un pollice verso ha condannato mia madre e mia sorella alle camere a gas, appena scesi dal treno. E lei crede che possa digerire un film dove il lager diventa tutto una favola? Anch’io come Foxman ho mandato una lettera al New York Times. Però la mia non l’hanno mai voluta pubblicare. Perché? “. Quella lettera è adesso sotto i nostri occhi e cominciamo a leggere: “Nell’estate del ‘44 la pazzia di Auschwitz stava accelerando; e proprio in quei giorni arrivarono i treni degli ebrei ungheresi, gli ultimi ebrei d’Europa. Erano i momenti peggiori. Pesavo sì e no 30 chili, ero infestata di pidocchi e ammalata di tifo, ma ero ancora viva perchè, nonostante le sofferenze più inimmaginabili, si muore solo quando sopraggiunge la morte. Le camere a gas, e i forni, funzionavano giorno e notte, ma non bastavano, per cui i nazisti avevano eretto immensi fuochi all’aperto, nei quali buttavano i bambini vivi. Io sentivo le loro urla e la puzza della carne bruciata mi entrava nelle narici, con un olezzo devastante…”. La Leitner, che nei lager ha perso 128 parenti, a questo punto s’adombra: “Adesso il pubblico può andare al cinema e applaudire, piangere e ridere vedendo una favola “beautiful”, magnifica, bellissima. Ma questa favola è costruita sulle ceneri di milioni di bambini ebrei uccisi. Perchè ci fate vedere Auschwitz come entertainement? Perchè così presto, mentre molti di noi sono ancora vivi? Le bugie non possono essere arte. La faccia sorridente di Benigni non è arte: oppure dobbiamo far sorridere anche Cristo, mentre muore sulla croce?”
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