
Iraq. Per la prima volta, dopo 1.600 anni, nelle chiese di Mosul non è stata celebrata la Messa
Per la prima volta dopo 1.600 anni nelle chiese di Mosul domenica 15 giugno, e le due successive, non è stata celebrata la Messa. La seconda città più grande dell’Iraq è stata conquistata dall’esercito dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), che ha imposto la sharia e costituito un califfato islamico.
POCHE DECINE DI FAMIGLIE. Come dichiarato dall’arcivescovo cattolico caldeo Bashar Warda, nella città non è stato possibile celebrare funzioni visto che la maggior parte della popolazione cristiana è fuggita. Se nel 2003 c’erano circa 35 mila cristiani a Mosul, negli anni il numero è diminuito drasticamente fino a tremila. Ora, dopo la conquista da parte dell’Isil, sono rimaste poche decine di famiglie, che non sono riuscite a scappare.
TRIBUTO UMILIANTE. Secondo quanto dichiarato dall’Alto commissario per i diritti umani in Iraq Sallama Al Khafaji, i cristiani sono costretti ora a pagare il tributo umiliante ai jihadisti per mantenere la loro fede. La somma varia a seconda della professione dei cristiani ma dovrebbe essere di almeno 250 dollari. L’Alto commissario ha anche citato un episodio: i terroristi sarebbero entrati nella casa di un cristiano, chiedendo il pagamento. Non avendo lui il denaro sufficiente, tre jihadisti avrebbe stuprato la moglie e la figlia. Per il trauma, l’uomo si sarebbe poi suicidato.
Inoltre, secondo quanto riportato da Ankawa.com, due suore, due donne e un uomo sarebbero stati rapiti dall’orfanotrofio Meskinta di Mosul sabato scorso nel quartiere di Khazrag, nei pressi dell’arcivescovado caldeo, ora diventato la sede locale dell’Isil. Per il momento non si sa dove queste persone siano state portate.
«ABBIAMO SOLO LE PREGHIERE». Molti cristiani intanto sono tornati a Qaraqosh, la città nella piana di Ninive a soli 45 chilometri da Mosul abitata da circa 50 mila cristiani. Almeno 40 mila di questi sono fuggiti settimana scorsa dopo che l’Isil ha bombardato la città. I soldati curdi hanno però respinto l’offensiva e ora molti cristiani sono tornati in città. «Non ce ne andremo da qui», dichiarano alcuni di loro alla Bbc. «È difficile essere cristiani oggi in Iraq ma questa è casa nostra».
All’emittente inglese l’arcivescovo di Erbil, Warda, ha dichiarato: «Non possiamo fare niente per farli restare. Non possiamo garantire la loro sicurezza, non abbiamo niente, solo le nostre preghiere. Se la volontà [di chi combatte] è dividere il paese in tre regioni, fatelo, ma senza tutta questa violenza».
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3 commenti
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Meglio continuare a reclamare in maniera demenziale e perversa che sono i gay “i discriminati e perseguitati” dell’Universo, piuttosto che dire una volta tanto la verità.
Da parte di questi governanti, esistono fedeli di Serie A e serie B.
C’è l’assoluta volontà di spazzare via il Cristianesimo, o con la forza, o con leggi ad hoc tese a distruggere il sentimento religioso dal cuore della gente.
Perche’ siamo marci dentro. Come vuoi che interessi ad Hollande ed Obama, alfieri di ogni liberta’ tirannica, di ogni “tutto e’ un diritto, tutto e’ possibile”, dei cristiani profughi? Ma non solo, di ogni profugo, dal Sud Sudan alla Siria! Cmq la mescolanza e’ una legge della storia, un nuovo mondo nascera’ dallo sfracello di
quello attuale occidentale (che arrivera’), e con lui anche la Chiesa rinascera’. D’altronde, Lui ce l”ha garantito, sara’ con noi fino alla fine dei tempi.
Perche’ l’occidente tace?