
L’insostenibile agenda ambientalista di Joe Biden

Con un Congresso bloccato – e che rischia di non controllare più dalle prossime elezioni di mid-term – e una Corte Suprema che non gli permette di fare tutto quello che vuole, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha detto qualche giorno fa che userà i suoi poteri esecutivi per introdurre nuove misure per combattere la crisi del clima. Il cambiamento climatico, ha detto il settantanovenne leader democratico, è «un pericolo chiaro e immediato e una minaccia esistenziale per la nostra nazione e per il mondo. È in gioco la salute dei nostri concittadini, la sicurezza nazionale e la nostra economia».
L’agenda green di Biden è insostenibile
Biden non ha però (ancora?) dichiarato ufficialmente lo stato di emergenza climatica, come sperano i più allarmati nel suo partito: in questo modo potrebbe infatti fare a meno del Congresso e accelerare sulle rinnovabili grazie al Defense Production Act. Restano le dichiarazioni di intenti e le promesse, già molto ridimensionate rispetto a quelle fatte in campagna elettorale, eppure anche così l’agenda green della Casa Bianca resta di fatto irrealizzabile, anzi – per usare una parola cara agli ambientalisti – non sostenibile.
Lo scrive Stuart Gottlieb sul Wall Street Journal, osservando come, ironicamente, la più grande minaccia alla sostenibilità ambientale«non viene da mega-emettitori emergenti come Cina e India, i quali certamente hanno un impatto significativo», ma «viene dalle iniziative per l’energia e il clima promosse dalla Casa Bianca di Biden, che sono esse stesse insostenibili, così aggressive e indebitamente ottimiste da rischiare un contraccolpo che farebbe arretrare la causa della sostenibilità ambientale per generazioni».
Un’agenda economicamente insostenibile
Se Washington vuole davvero guidare il mondo verso un futuro verde, scrive il professore di Politica estera e Sicurezza internazionale americana alla Columbia, «l’amministrazione deve passare a una serie di politiche più pragmatiche», puntando anche su gas naturale e fusione nucleare. L’agenda di Biden sembra non tenere conto della realtà, infatti. Gli obiettivi climatici annunciati dall’America indicano una transizione verso il 100 per cento di energia pulita entro il 2035 e zero emissioni entro il 2050. Un’agenda insostenibile dal punto di vista economico, geostrategico e politico.
Gottlieb segnala che secondo l’Energy Information Administration «la domanda globale di energia aumenterà di quasi il 50 per cento entro il 2050, con i combustibili fossili che rappresentano ancora circa il 75 per cento dell’offerta mondiale. Sebbene molti Democratici insistano sul fatto che questo dimostra semplicemente l’urgenza di effettuare la transizione, non ci sono modelli economici che mostrino come ciò potrebbe avvenire senza causare danni enormi all’economia. Un rapporto di McKinsey & Co. mostra che raggiungere emissioni nette zero entro il 2050 richiederebbe quasi 6 trilioni di dollari di nuova spesa a livello globale ogni anno per i prossimi 30 anni, circa un terzo di tutte le entrate fiscali di ogni governo del mondo. Anche se ciò fosse possibile, non risolverebbe i gravi costi economici della volatilità dell’approvvigionamento energetico durante la transizione, in particolare per i poveri».
Il contesto geopolitico e l’agenda green di Biden
Come se non bastasse, le promesse verdi dei Democratici sembrano prescindere da uno scenario globale sempre più instabile e complicato in cui sia la Russia sia la Cina «vedono gli impegni climatici occidentali aggressivi come un’opportunità per aumentare il proprio potere e la propria influenza». Infatti, mentre sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze della eccessiva dipendenza dell’Europa dal gas russo, la Cina si prepara a dominare i mercati occidentali delle energie rinnovabili producendo turbine eoliche, pannelli solari e batterie al litio bruciando inditurbata combustibili fossili a basso costo grazie al suo status di paese in via di sviluppo conferitole dalle convenzioni internazionali, alimentando così la sua ascesa per diventare la più grande economia del mondo.
Ma l’agenda ambientalista di Biden è anche politicamente insostenibile, dice Gottlieb: «Senza un’azione impegnata da parte delle nazioni del G7 – Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Regno Unito – c’è poca speranza per un reale progresso climatico nei prossimi decenni. Eppure queste sono anche le principali democrazie del mondo, responsabili nei confronti del loro pubblico. Esiste il pericolo reale che gli elettori di questi paesi si ribellino alle politiche climatiche che fanno salire i prezzi dell’energia, ostacolano la crescita economica e portano persino a razionamenti e blackout».
Meno promesse, più realismo
Come spesso succede ai partiti progressisti, anche i Dem americani sembrano non tenere conto che nelle democrazie si risponde agli elettori, e sono gli elettori che decidono chi governa. L’editorialista del WSJ cita un sondaggio del New York Times/Siena College di luglio secondo il quel «solo l’1 per cento degli elettori registrati negli Stati Uniti (e solo il 3 per cento dei democratici) considera il cambiamento climatico la questione più importante del paese, molto al di sotto dell’inflazione e dell’economia. Anche per gli elettori sotto i 30 anni, solo il 3 per cento pone il cambiamento climatico al primo posto tra le proprie preoccupazioni. Il crescente malcontento populista in Francia, Germania, Italia e altrove conferma che molti governi occidentali rispettosi del clima rischiano di essere estromessi in nome della sicurezza energetica basata sui combustibili fossili».
Che fare, dunque? Nonostante le promesse, la Casa Bianca non ha soluzioni realistiche a portata di mano: «L’unica risposta del presidente Biden è stata che il promesso “futuro di energia pulita” arriverà “il prima possibile”. Quella risposta è del tutto inadeguata. È anche del tutto inutile: gli Stati Uniti, che si trovano in cima a enormi riserve di gas naturale e hanno l’economia più innovativa del mondo, sono nella posizione ideale per guidare una vera transizione verde».
Per Gottlieb l’amministrazione dovrebbe puntare sul gas naturale statunitense, aiutare con sussidi mirati le società private che competono con la Cina sulle batterie al litio di nuova generazione e creare un partenariato pubblico-privato per «semplificare la creazione di reattori a fusione senza carbonio e commerciabili in massa». Si può discutere sull’efficacia delle proposte di Gottlieb, ma hanno il pregio di essere concrete, e non fermarsi a slogan allarmati pieni di parole d’ordine “giuste” ma difficilmente realizzabili. «Perché le politiche siano sostenibili, devono essere pratiche», conclude l’editoriale del Wall Street Journal.
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