
Inside Mourinho, lo psicologo «che allena prima la testa e poi i piedi»
L’eterna sfida tra mourinhani e anti-mourinhani ieri ha dovuto registrare l’ennesima rete in favore dei primi: c’è tutto lo zampino del “Filosofo di Setúbal” dietro al 3-2 con cui il Real Madrid ha sconfitto il Manchester City, in un match tiratissimo e vinto solo nel finale, dove le merengues hanno dimostrato carattere e brillantezza dopo le ultime opache uscite in campionato. «E guarda caso oggi sui giornali non c’è l’immagine del bel gol di Benzema, ma quella della scivolata d’esultanza di Mourinho». Maurizio Crippa è vicedirettore del Foglio, e sul sito del suo giornale tiene un blog dal nome eloquentemente : “Zeru tituli”. Inutile dire quanto apprezzi l’allenatore lusitano, sia come tecnico sia come motivatore. E con tempi.it ne analizza il valore, dopo la bella vittoria di ieri.
Crippa, il Real di quest’anno sembra in crisi, invece si rivela capace di vincere le partite più difficili (Barcellona, Man City) in modo rocambolesco. Dove sta il merito di Mourinho?
La sua bravura sta nell’essere, innanzitutto, un grande psicologo. Anche i suoi detrattori sono arrivati ad ammetterlo: riesce a far dare a tutti i suoi giocatori il 110 per cento, perché allena prima la testa e poi i piedi. E il match di ieri ne è stato una conferma: stavano perdendo e hanno recuperato, per poi vincere in maniera pazzesca. Interessante è anche andare a leggersi le dichiarazioni: pochi giorni fa parlava dei problemi con alcuni giocatori, che non sono più come quelli di qualche anno fa, per i quali il calcio era tutto. Hanno in mente altro, diceva. Ieri le sue parole hanno continuato su questa linea: si vince così, con questa gente, e lui è bravo a saperli motivare nel migliore dei modi. Mi sembra un bel giudizio sul calcio di oggi.
Mourinho è stato anche bravo a zittire le polemiche sul malumore di Cristiano Ronaldo. Tant’è che ieri l’attaccante portoghese è risultato decisivo.
Io lo chiamo sempre filosofo, perché la sua bravura sta nel gestire le pressioni psicologiche: sia quelle sui suoi giocatori, sia quelle sugli avversari. Ricordo ancora una dichiarazione che fece anni fa quando era all’Inter: «Mi piace sentire il rumore dei nemici». Ecco, queste sono parole capaci di condizionare la preparazione ad un match delle altre squadre. In più coi calciatori lui fa da educatore: sa di non aver di fronte solo una massa di muscoli, ma gente che va cresciuta, sia in campo sia fuori. Non so se lo fa consapevolmente, ma è certo che in questo è maestro. E quando non ci riesce s’incazza anche.
Qualcuno accusa Mou di essere solo un grande comunicatore, più bravo a parlare e fare scenate che in panchina.
È vero, in tanti lo dicono. Uno di questi è Zeman, anche lui grandissimo comunicatore ma più scarso come tecnico, visti i risultati. Ma il giudizio su Mourinho non mi trova d’accordo, per due motivi: è un tecnico molto pragmatico, non ha inventato alcuna idea particolare di calcio, ma è semplicemente molto bravo a prendere il meglio degli altri e re-interpretarlo in maniera divina. E in secondo luogo perché l’aspetto comunicativo non è una pecca, ma la sua grande novità. È segno della sua notevole consapevolezza di cosa sia il calcio globale moderno: un fenomeno che non si spegne mai, tra tv, internet, blog, twitter… Mourinho ha capito che l’immagine conta quanto la vittoria, che il campo parla, ma insieme a tutto il resto. Una cosa che purtroppo i suoi colleghi e i giornalisti faticano a intendere.
Quanto manca all’Inter questo tecnico? E all’Italia?
È un tecnico insostituibile: abbiamo aspettato 40 anni prima di avere con lui un nuovo Helenio Herrera, ora bisognerà aspettarne altrettanti per avere un nuovo Mourinho. Come possiamo scordarci il gesto delle manette? Ha sfidato un tabù: siamo in un Paese dove per il 60 per cento delle persone le manette valgono più del crocifisso. Senza di lui ci si annoia, con le conferenze stampa di Allegri, Conte… Meno male che quest’anno è tornato Zeman. Ma siamo sempre al calcio piatto di una volta, mentre lui ha portato qualcosa di nuovo.
Degli anni all’Inter qual è l’immagine che più rivela la personalità di Mourinho?
Difficile dirlo tra i tanti spunti che ci ha offerto in tre anni in nerazzurro. Ho molto a cuore una scena, mai ritratta da nessuna foto e relativa, in realtà, agli anni del Chelsea: l’ha raccontata lui stesso in un’intervista. Raccontava di sé e di Ferguson, uno dei pochi allenatori che stima quasi quanto un padre: quando si sfidavano in Inghilterra, chi perdeva offriva all’altro negli spogliatoi un bicchiere di vino costosissimo. Ecco, qui viene fuori tutto il rispetto di Mou per certe grandi persone, che va oltre la voglia di vincere: pur di riconoscere e stimare l’altro esce dallo schema delle rivalità di campo per gustarsi con lui un buon bicchiere di vino.
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