
Inquinatori post-comunisti
Di tutti i mendacî in materia di tematiche ecologiche alimentati dal vigente luogocomunismo, uno dei più stucchevoli è certamente quello che attribuisce alla logica del profitto congenita all’economia di mercato grandi responsabilità per l’inquinamento ambientale. Nella realtà i paesi più inquinati del mondo sono sempre stati quelli a economia pianificata. E per di più l’inquinamento ambientale nei paesi del socialismo reale si è accompagnato all’inefficienza economica: mentre nei paesi capitalisti è stato in alcuni casi il prezzo da pagare per diffondere l’abbondanza in vasti strati di popolazione, i comunisti sono riusciti nell’impresa di accoppiare degradazione ambientale e penuria. Questa lettura dei fatti si rivela corretta persino per quel che riguarda le emissioni di CO2, che pure dovrebbero essere un tipico problema delle società consumiste. La motorizzazione di massa e gli elettrodomestici in tutte le famiglie, fenomeni socio-economici resi possibili dall’energia a basso costo prodotta dai combustibili fossili che liberano appunto ossido di carbonio, li hanno inventati negli Usa e non a Mosca. Eppure negli ultimi 50 anni i paesi di quello che fu il Patto di Varsavia hanno emesso più CO2 di quelli dell’Unione Europea (Ue), senza avvicinarsi neanche lontanamente ai redditi pro capite, ai tassi di consumi, all’efficienza produttiva del capitalismo europeo. Lo si desume da una fonte non sospetta come il World Resources Institute (Wri) di Washington, un think tank ecologista finanziato da Bill Gates, Ted Turner, Fondazione Rockefeller, ecc. molto polemico con le recenti decisioni del presidente Bush. Ebbene, stando alle statistiche di questo istituto, dal 1950 ad oggi i paesi dell’ex Patto di Varsavia (Europa centro-orientale più ex Repubbliche sovietiche), dove attualmente vivono 385 milioni di persone, hanno prodotto 148,2 milioni di tonnellate di CO2; mentre nello stesso periodo gli attuali paesi della Ue, che contano 374 milioni di abitanti, ne hanno emessi 127,8. Si tenga presente che il Wri calcola nel bilancio della Ue anche i 40 anni di emissioni della Germania Est, e che nel decennio post-comunista 1991-2001 le emissioni sono diminuite, in controtendenza col resto del mondo, nei paesi dell’ex Unione Sovietica a causa di un rapido processo di deindustrializzazione. Per molti paesi (ma non per la Russia, purtroppo) il Wri riesce a calcolare la quantità di CO2 emessa per ogni milione di dollari di Pil prodotto nel 1990. In quell’anno il dato di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti era rispettivamente 348, 606 e 858 milioni di tonnellate; quello di Romania, Bulgaria e Polonia era 1.610, 1.920 e 1.947. I dati del ’96 relativi alle ex repubbliche sovietiche oscillano fra i 1.380 milioni della Bielorussia e i 3.441 dell’Ucraina. E non facciamo paragoni fra i redditi pro capite solo per non infierire.
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