Ingroia, Grasso e gli altri: le toghe invadono la politica (e insidiano la nostra sovranità)

Di Ubaldo Casotto
14 Gennaio 2013
Nel 2013 altri otto magistrati salteranno dal tribunale al Parlamento. Il pm Nordio e il costituzionalista Zanon (Csm) stigmatizzano l’invasione di campo che insidia la sovranità dei cittadini.

E fanno nove. Nove magistrati hanno chiesto al Csm la dispensa per poter scendere (o salire) in politica. Due di loro, Antonio Ingroia e Stefano Amore, l’hanno ottenuta lo scorso 19 dicembre. Altri sei lunedì 7 gennaio: Pietro Grasso (procuratore nazionale antimafia), Stefano Dambruoso (Capo dell’Ufficio per il coordinamento dell’attività internazionale del ministero della Giustizia, che si è occupato a lungo di terrorismo internazionale), Doris Lo Moro (già parlamentare del Pd), Domenico Ammirati (presidente del tribunale fallimentare di Firenze), Paolo Andrea Taviano (giudice del tribunale di Cassino) e Michelangelo Russo (in servizio alla Corte di Appello di Roma e in precedenza alla Procura di Salerno dove mise sotto inchiesta il sindaco De Luca e a quella di Lagonegro dove chiese la condanna del cardinale di Napoli Michele Giordano per usura). Il nono magistrato che aveva annunciato la volontà di candidarsi – Daniela Canepa, giudice delle esecuzioni immobiliari al Tribunale di Genova – all’ultimo momento ha ritirato la domanda.

RICHIESTE RETORICHE. Diciamo “hanno ottenuto” anche se questo articolo viene scritto prima del pronunciamento del Plenum del Csm, perché la concessione della dispensa, come spiega il vicepresidente dell’organo di autogoverno dei magistrati Michele Vietti, «è un atto dovuto». Ma se il passaggio al Csm è un automatismo, perché il magistrato che vuole entrare in politica deve chiedere ciò che non gli può essere negato? Nicolò Zanon, costituzionalista e membro del Csm, vorrebbe scalfire questa certezza. «C’è un articolo del Testo unico sulle elezioni che dice che il magistrato per potersi candidare deve essere in aspettativa, di qui l’esigenza della domanda che il Csm sembra obbligato ad accogliere. Ma un Consiglio meno timido potrebbe mostrare un po’ di severità sulla base di considerazioni che attengono a valori costituzionali come l’indipendenza, l’apparenza di indipendenza e l’imparzialità ». Quindi? «Io pecco di astrattismo, ma il Csm potrebbe votare no alle richieste di aspettativa, farsi impugnare al Tar le delibere e sollevare la questione di costituzionalità della legge che permette ai magistrati di passare senza soluzione di continuità e immediatamente da un’aula di tribunale all’aula del Parlamento senza almeno un periodo di decantazione. Mi rendo conto che è una prospettiva accademica, ma con una politica inerte potremmo fare come fanno già certi magistrati: attivare i circuiti alternativi di formazione del diritto sino alla Corte costituzionale».

ALMENO LA DECENZA. Una provocazione? «Sì, una provocazione di fronte all’umiliazione di vedere convocato in modo notarile un organo di rilievo costituzionale per un atto dovuto, senza che i suoi membri possano dire nulla riguardo all’ingresso in politica di personaggi che fino a ieri hanno avuto tra le mani indagini e dossier molto delicati». Anche per Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia, il Csm non può che ratificare la scelta dei magistrati, né vi è lo spazio, a suo parere, per l’ipotesi di scuola avanzata da Zanon: «Respingere le richieste sarebbe illegittimo. L’elettorato passivo è un diritto costituzionalmente garantito: il magistrato si candida nella più perfetta legittimità e il Csm non può che prenderne atto». Perché chiedere la dispensa, allora? Per decenza, suggerisce la risposta di Nordio: «Finche il Csm non concede la dispensa tu resti un magistrato a tutti gli effetti, e almeno il candidarsi con la toga addosso va evitato». Per entrambi i nostri interlocutori la legge attuale andrebbe cambiata. Più moderato Zanon nelle sue richieste, più radicale Nordio, al quale ricordiamo due sue dichiarazioni, una del 24 marzo 2005: «Io penso che nessun magistrato dovrebbe mai candidarsi alle elezioni, a maggior ragione non deve farlo un pm che è diventato famoso per inchieste in ambito politico »; e una del 18 febbraio 2012: «Riterrei giusto che il Parlamento varasse una norma per impedire l’eleggibilità di un magistrato». «E non ho cambiato idea», dice oggi. Per Zanon ciò che fa problema è l’immediatezza con la quale avviene il passaggio da un ruolo all’altro. «Indubbiamente la colpa maggiore della normativa attuale ce l’ha la politica, le proposte che vietano il passaggio immediato sono rimaste nel cassetto delle commissioni Giustizia di Camera e Senato. Ma la seconda responsabilità ce l’hanno alcuni magistrati la cui deontologia professionale è discutibile. Perché una sensibilità istituzionale minima porterebbe a evitare candidature annunciate in conferenze stampa del procuratore nazionale antimafia ancora in carica nella sede del Pd. Trovo tutto ciò come minimo discutibile».

MAGISTRATO? VALE PIÙ DEI CITTADINI. Ma può la politica fare una riforma simile senza l’accordo della magistratura? Zanon è pessimista: «C’è un refrain che recita: il magistrato ha gli stessi diritti di un cittadino. Non è vero: il magistrato ha una serie di poteri in più rispetto al comune cittadino, cui conseguono doveri e responsabilità maggiori e qualche diritto in meno». Nordio esclude l’ipotesi sin dall’origine: «Un magistrato non dovrebbe entrare in politica né durante né dopo il suo mandato». E spiega perché. «Durante per l’ovvia ragiona che se c’è una separazione netta tra i poteri giudiziario e legislativo, il magistrato non deve dare nemmeno adito a sospetti che ci siano interferenze tra l’uno e l’altro». Ma se un pm va in pensione? «Per la stessa ragione, che diventa retroattiva. Anche dopo essersi dimesso un suo ingresso in politica può suscitare il sospetto che le sue attività pregresse fossero in un certo modo finalizzate a una sua carriera politica. E questo, ci tengo a dirlo, ovviamente non significa che sia vero quanto io denuncio come un pericolo. Io sono certo, almeno spero, che nessun magistrato abbia agito tenendo presente un domani la possibilità di entrare in politica. Ma questa mia convinzione non esime i cittadini dal pensarlo. Quindi, per evitare anche il semplice sospetto, è bene che il magistrato non entri mai in politica».

SPOT CONTRO L’ORDINE GIUDIZIARIO. Forse più che il fatto in sé fa specie la candidatura di chi ha condotto indagini che hanno avuto clamore mediatico e conseguenze politiche. Zanon non si tira indietro e cita “il caso Ingroia”, che definisce «uno spot clamoroso contro la magistratura e contro la credibilità complessiva dell’ordine giudiziario. Penso che la stragrande maggioranza dei magistrati se ne renda conto». E continua a dolersi della “timidezza” del Csm: «Non siamo riusciti nemmeno a far inserire nel fascicolo personale di Ingroia la delibera del febbraio scorso in cui era stato ripreso sul piano deontologico per i suoi interventi al congresso di un partito; il presupposto che il “cittadino magistrato” ha il diritto fondamentale di esprimere il suo pensiero dovunque e su qualunque cosa è stato invalicabile». Nordio sospende il giudizio: «Io esprimo il wishful thinking che nessun magistrato abbia mai agito tenendo presente la possibilità di candidarsi e di sfruttare la notorietà che ha acquisito a fini personali, poi ognuno si fa le convinzioni che crede». Opinione per opinione, chiediamo a Zanon un giudizio sulla scelta di Grasso di candidarsi nel Pd. «Probabilmente – risponde – ha dei profili istituzionali ancora più discutibili. Sembra una reazione alla candidatura Ingroia: c’è uno che nel campo della lotta alla mafia è più di Ingroia? Il capo della Procura nazionale antimafia». Si affaccia il sospetto di un uso politico delle indagini, che Zanon circoscrive: «Il procuratore nazionale antimafia non ha inchieste in concreto, ma ha un compito di coordinamento, però è a conoscenza di una serie di informazioni, ed è depositario di comunicazioni che vengono da tutte le direzioni distrettuali antimafia. Conosce vita, morte e miracoli di vicende delicate. Sul piano della sensibilità istituzionale ho trovato discutibile la sua scelta, proprio per l’immediatezza del passaggio da un ruolo all’altro. Ci vorrebbe un periodo di decantazione, se la legge prevedesse almeno questo, tutto sarebbe più accettabile. Il principio vale per tutti: conosco e stimo Dambruoso, ma sbaglia anche lui».

CI VORREBBE CAUTELA. Nordio prova a graduare la sua tesi: «Nessun magistrato deve mai candidarsi, salve tre condizioni: tempo, spazio e media. Quanto più il magistrato è vicino temporalmente e logisticamente al luogo in cui ha esercitato le indagini, tanto più deve essere cauto. In caso di indagini recenti candidarsi nel distretto dove ha espletato il suo mandato è il massimo dell’inopportunità. Farlo a distanza dalle inchieste e in un altro circondario è molto meno grave. Tra questi due estremi ci sono sfumature nell’ambito delle quali i cittadini possono crearsi le loro idee su questi magistrati. Aggiungo che questa separazione è ancora più necessaria in Italia, l’unico paese in cui un intero sistema democratico-parlamentare vent’anni fa è stato scompaginato, uso un termine benevolo, dalle inchieste giudiziarie. Vista l’oggettiva interferenza della giustizia nella politica è bene che il magistrato ne resti fuori».

I PALETTI ESSENZIALI. C’è poi la questione del clamore mediatico. Nordio ritiene che «quanto più il magistrato è diventato famoso per le sue inchieste “politiche” tanto più deve gravare su di lui l’esigenza morale di trattenersi. Un candidato il cui nome non s’è mai letto sui giornali solleva meno obiezioni». Il sospetto sull’uso di notizie riservate è un pericolo affidato alla deontologia del singolo e non può essere scongiurato in assoluto, ma non è il pericolo maggiore. Zanon insiste sul concetto che certe candidature comportano «una perdita di credibilità dell’immagine della magistratura. Come dice la Corte europea dei diritti dell’uomo in tante sentenze: c’è una necessità di apparire credibili e affidabili per l’opinione pubblica che vicende di questo tipo offuscano». Il magistrato deve allora rassegnarsi ad avere meno diritti? «Questa è una sciocchezza», dice Nordio. «Come è una sciocchezza quando chi si candida si trincera dietro il “la legge lo permette”. Ci mancherebbe che un magistrato lo facesse contro la legge. Ma si possono costituire dei vincoli in cui una determinata professione ne preclude un’altra. O comunque mettere paletti così rigidi che pur salvando nella forma la possibilità dell’elettorato passivo lo rendano un’eccezione: aspettare almeno cinque anni dal pensionamento o dall’uscita di ruolo, l’impossibilità assoluta di rientrare in magistratura, e la distanza locale».

USO STRUMENTALE DELLE INCHIESTE. Un argomento di Grasso, e di molti che lo sostengono, è che lavorerà con competenza alla riforma della giustizia. «Dica a chi ragiona così che ministro della Difesa deve essere un generale di corpo d’armata e vedrà le loro reazioni», ribatte Zanon, che non mette in dubbio la professionalità di questi magistrati, ma il suo possibile uso per altri fini che non siano la giustizia, con la conseguenza di rendere discutibile ogni indagine e ogni sentenza. «Prenda il caso dell’inchiesta Stato-mafia su cui si aspetta il pronunciamento del Gup. Da molti magistrati e docenti di diritto penale ho sentito un giudizio molto severo sui capi di imputazione e sulla memoria che li accompagna, nella quale si parla della caduta del muro di Berlino per pagine e pagine e ci si chiede che cosa c’entri. L’entrata in politica del suo estensore squalifica di per sé quell’inchiesta, e fa sorgere il sospetto, forse non fondato ma legittimo, che sia stata uno strumento per un battage mediatico atto a costruire un personaggio desideroso di tradurre in richiesta di consenso politico quell’attività giudiziale».

INGROIA, GUATEMALA E ONU. Ma di Ingroia che cosa penseranno in Guatemala? «Non ne sappiamo nulla», dice Zanon. «Sarebbe interessante sapere che tipo di attività ha svolto, se è stata effettiva e con quale soddisfazione da parte del committente, l’Onu. Oggi tutto fa pensare a una strategia per costruirsi un percorso che lo conducesse alla candidatura. Considero tutto questo un modo di buttar via la propria professionalità di magistrato». Nordio ha evitato giudizi su singoli, ma sul caso Ingroia fa un’eccezione: «L’opinione pubblica si chiederà come mai un magistrato che si è impegnato a rappresentare l’Italia in un organismo mondiale, dopo pochi mesi abbia cambiato idea. Non è una bella figura per il nostro paese nei confronti dell’Onu, ma queste sono valutazioni riservate agli interessati e agli elettori».

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1 commento

  1. Luciano

    Non c’è limite al protagonismo, altro che veline…

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