Inghilterra-Irlanda sarà la festa della FA, anche se l’ultima volta la partita è durata solo 27 minuti

Di Emmanuele Michela
29 Maggio 2013
Non giocano contro dal '95, quando il match fu sospeso a Lansdowne Road per gli incidenti degli hooligans. Stasera le due Nazionali tornano a sfidarsi: sarà cambiato del tutto il clima?

Non si sfidano da 18 anni. Questo sebbene Irlanda e Inghilterra siano vicine di casa, e gli ultimi due decenni abbiano offerto alle due nazioni un dialogo politico unico, con rapporti mai così stretti nella storia delle isole britanniche. Eppure un filo di paura per il match di stasera c’è, per quanto l’amichevole tra le due Nazionali sia soltanto una partita organizzata per festeggiare i 150 anni della FA, tra le ben scarse pretese che si porta con sé il calcio di fine maggio. L’ultima volta che furono contro era il ’95 a Lansdowne Road, Dublino, e sugli spalti gli hooligans inglesi diedero prova della loro fama costringendo l’arbitro a interrompere la partita al 27esimo minuto.

CORI CONTRO L’IRA. La speranza è quindi quella che a nessuno dei presenti a Wembley passi per la testa l’idea di rinfacciare qualcosa di quella partita, né di rivangare le infinite piaghe che la storia dei due paesi non è mai riuscita a cicatrizzare. Perché nel ’95 tutto cominciò così: entrambi gli inni furono fischiati, poi dal settore occupato dagli inglesi iniziarono ad alzarsi slogan oltraggiosi («No surrender to IRA», «Sieg heil», «Ulster is British»), e quando al 27esimo David Kelly portò in vantaggio la squadra di casa, gli hooligans iniziarono a lanciare oggetti in campo e verso i tifosi rivali. Fu il putiferio: gli irlandesi non volevano certo subire e qualcuno tentò pure di replicare. La polizia intervenì per fermare gli ospiti ed entrò in massa nel settore, mentre il tecnico di casa, Jack Charlton, inglese, fratello del grande Bobby, provò a calmare gli animi dei suoi connazionali, ma fu costretto ad andarsene tra gli insulti di chi gli dava del «Judas». L’arbitro fece sospendere la partita. Ci furono 50 feriti, 20 andarono all’ospedale. Un sesantenne ebbe un attacco di cuore all’esterno dello stadio e morì. Gli scontri proseguirono anche fuori da Lansdowne Road, fino al porto di Dun Laoghaire, dove gli hooligans furono fatti imbarcare per tornare in patria.

QUELLO STADIO È STATO DEMOLITO. Difficile dimenticarsi di un trascorso simile, per questo da entrambe le sponde, specie quella inglese, gli inviti alla calma continuino ad inseguirsi. Nessuno vuole che la festa della FA venga rovinata, né tanto meno scoprire che i vecchi venti d’odio tra le due popolazioni possono ancora scaldare gli animi di qualcuno. In mezzo, però, ci sono 18 anni che hanno cambiato tanto: a far paura agli inglesi non è più l’Ira ma Al Qaeda, lo stadio in questione è stato demolito e ora si chiama Aviva Stadium; le due nazioni sportive si sono avvicinate molto nel 2007, anno in cui la selezione inglese di rugby è entrata per la prima volta nel tempio gaelico di Croke Park. E se all’epoca l’Irlanda si era quasi abituata a battere l’Inghilterra, ora la Nazionale del Trap è sempre più distante da quella di Hodgson, e vede i Mondiali in Brasile come un’utopia.

KEANE ALLORA AVEVA 14 ANNI. È cambiato tanto anche per chi nel ’95 aveva solo 14 anni e quel match lo vide direttamente dalle tribune: allora scappava col padre e il fratello dalla furia hooligans, oggi corre verso le 33 primavere ed è il miglior marcatore di sempre della selezione gaelica. Si trova ad un passo da essere il giocatore più presente di sempre nella Green Army e risponde al nome di Robbie Keane. Trapattoni sta svecchiando tutto il giro della Nazionale, ma a lui non intende rinunciare. «All’epoca (1995, ndr) non avrei mai pensato di poter avere la possibilità di giocare contro l’Inghilterra, anche se forse questo incontro poteva essere messo in calendario un bel po’ di anni fa». Si è fatto 11 ore di volo dagli Usa per essere oggi a Londra, scendere in campo e superare Shay Given nella storia della rappresentativa irlandese. «È semplice la cosa: voglio giocare per la mia nazione più di qualsiasi altra cosa, e questo ha un valore ancor più grande ora di quando facevo il mio debutto a 18 anni. Non potrò mai capire perché i giocatori non vogliono giocare per il loro Paese, dicendo di essere infortunati. È difficile da capire come scelta».

@LeleMichela

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